
Divagazioni superflue (Eretica Edizioni) è il nuovo libro di Frank Iodice, autore di numerosi romanzi e un vasto numero di racconti brevi apparsi su riviste letterarie, tutti fortemente autobiografici. Vive a Nizza, con la sua famiglia. Lavora come guardiano notturno. Questa nuova fatica letteraria di Iodice è una raccolta di racconti visionari e indipendenti, ambientati negli alberghi notturni di Nizza e di quella Napoli, mai dimenticati che ripiomba nel cuore con i suoi echi lontani, proprio come quelle navi che giungono al porto per richiamare l’attenzione dei turisti pronti a partire nuovamente verso nuove mete, dei marinai pronti a salpare e di tutti quei passeggeri della notte che hanno barcollato lungo le vie del centro e che finalmente sono pronti ad accogliere una nuova alba. La copertina del libro è stata realizzata dall’artista milanese Alessandro Bellucco, protagonista di uno dei racconti che attraverso la sua opera è riuscito ad esaltare il concetto di brutto, rendendo sublime, puro, spogliandolo dalle vesti e fotografandolo nella sua posa animale. Racconti che hanno inizio con un saluto all’interno della hall di un albergo, con la chiave di una camera che viene poggiata sul palmo della mano del cliente. Un ospite sconosciuto, nuovo e che certamente può diventare il protagonista di mille storie avventurose e fantasiose che spesso si nascondono dietro ad uno sguardo, un paio di occhiali o semplicemente un vestito. Talvolta possono rivelarsi vere le congetture di un portiere, talvolta invece rimangono fantasie intrappolate nella notte, che svaniscono il giorno dopo tra un caffè e una sigaretta. Chissà se Frank Iodice avrà poi assistito alla trasformazione di alcune mirabolanti avventure dei personaggi che ha incontrato, chissà quante facce scavate nella penombra avranno poi mutato la propria espressione con la luce del mattino o a seguito di ulteriori stravolgimenti personali. Storie di vita e notti insonni, con la musica che non smette mai di suonare. Un ritmo pulsante che scivola sulla pelle, proprio come le calze di una bella donna arrivata da poco nella hall di un albergo, pronta a sedurre il portiere o come il whiskey che riempie lentamente il bicchiere per poi graffiare la gola di chi è pronto a varcare i misteri della notte, per riprendere in mano poi il nuovo giorno con un bel caffè bollente.
Noi abbiamo intervistato Frank Iodice, autore del libro.

“Divagazioni superflue” è la tua nuova fatica letteraria. Come nasce questo libro?
“L’editore ed io abbiamo pensato di raccogliere in un unico volume alcuni racconti inediti e quelli usciti negli ultimi anni su varie riviste, i più carnali, istintivi, visionari, tutti con forti elementi autobiografici. Sono racconti scritti di notte, mentre lavoravo in albergo, ambientati perlopiù a Nizza (La moglie del signor De Mousso, Eugène che parlava con i tetti, I quattro padri dell’amore, ecc.). Altri sono stati scritti a Buenos Aires e Montevideo nel 2014 (come Andrés Aguiar Camicia Rossa o La Catedral del tango). Il dipinto in copertina ha una sua storia. Ho incontrato l’autore per caso, nel 2012 credo, abbiamo bevuto una birra in un bar di avenue Durante, di fronte alla Gare, e poi, non si sa come, ci siamo ritrovati nel sottopassaggio fetido di urine. Lì ha inizio La verità dei poveri. Dopo diversi anni, ci siamo risentiti e abbiamo scelto questo quadro per la copertina. Mi faceva pensare a ‘Il mignolo rotto’, in cui Sabina, la protagonista, cade dalla bicicletta e si rompe il dito di un piede. Ma anche alla condizione di animalità di tutti i protagonisti e di sottomissione al proprio destino. Ci sembrava un connubio possibile tra pittura e letteratura (benché io fossi sicuro solo della prima), tra Bellucco e Iodice, insomma. Anche l’editore è rimasto folgorato dall’opera proposta e molto soddisfatto del risultato finale. Io ne ho parlato così nel messaggio alla mia mailing list: ‘L’artista milanese Alessandro Bellucco esalta il concetto di brutto fino a portarlo a un’affascinante sublimazione del male, mortificandoci, mettendoci in una posa vergognosa, vittime della bassezza del mondo che ci ha resi bestiali, perché il mondo è degli animali, non è dell’umano. Nei racconti c’è questo, ma c’è anche l’umorismo, la tragica comicità della nostra condizione'”.
Tu lavori come guardiano notturno. Quanto c’è di autobiografico in queste storie?
“Ne ‘La figlia di Rappaccini’, tutto. In altri come L’annuncio o Il siero della verità, quasi nulla. Tutta la mia scrittura si radica nel vissuto, ma è solo un punto scatenante per la costruzione del testo vero e proprio. Il lavoro di guardiano notturno mi ha formato, mi ha reso uno scrittore silenzioso, consapevole di essere solo un “filino di merda nell’universo”, come diceva Saramago paragonando gli esseri umani a un campionario di insetti, molto più numerosi e variegati di noi. Lavorare di notte ti insegna a osservare rimanendo in disparte, e questo credo sia il mio dovere, il modo in cui devo stare al mondo. Anni fa, una prima raccolta mai pubblicata s’intitolava proprio ‘I racconti del veilleur de nuit’ perché un fil rouge che unisce questi testi è il mio rapporto con la notte. C’è di mio forse anche la maniera di vedere la vita: nessuno dei miei personaggi si prende molto sul serio, sono sconfitti, bastonati, esclusi, ma allo stesso tempo ribelli e strafottenti, e la loro finisce per diventare una delle tante espressioni del male della nostra epoca”.

(flickr di Chiara)
Nizza e Napoli sono due luoghi che ritornano spesso nei tuoi libri. Tu vivi a Nizza da molto tempo ma sei originario di Napoli. Che legami hai con la tua terra?
“Nizza e Napoli sono simili, sono due città di mare, un mare forte e agitatore, rivoluzionario. Sono città contraddittorie, accoglienti e pericolose, tragiche e divertenti, generose e spietate, città di forti energie, e sono entrambe molto letterarie, nonostante gli stereotipi oleografici che le contraddistinguono e le condannano. Amo entrambe in due modi diversi e vi ambiento i miei libri con la speranza di far innamorare anche i lettori. Quasi tutti i miei romanzi sono ambientati in Francia e negli Stati Uniti, ma in questi mesi sto scrivendo per la prima volta una storia che si svolge interamente a Napoli. Non so ancora se diventerà un libro. Di sicuro è un modo per non perdere il legame con la mia terra, che è anche un legame linguistico. Grazie alla parola scritta, posso continuare a ricordare, celebrare, magari migliorare il mio paese”.

Qual è la vita di un portiere d’albergo e che legami si istaurano con i clienti?
“È una vita di resistenza. In un libro ho scritto una volta che ‘restare sveglio mentre gli altri dormono è l’unico vero potere che un uomo ha’. È anche una specie di ricerca antropologica. In questo senso, i clienti diventano cavie inconsapevoli. A volte si instaura un rapporto di amicizia, ma sono amicizie fugaci, che svaniscono con il sole. Altre volte chiami la polizia perché non riesci a gestire da solo litigi, aggressioni, furti… Ecco, dipende dalle notti. In genere, già di sera si sente l’aria che tirerà. Nei piccoli alberghi, ‘les petites maisons’, chiacchieri di più con i clienti, stabilisci intese profonde con loro, come se vi conosceste da anni. È merito della notte, che rende tutto più intimo, come se si rubasse qualcosa di proibito insieme. Posso dirti comunque che in hotel, ho incontrato le più belle persone – e anche le più brutte – che ho trasformato poi in personaggi. È questo il mio legame con i clienti, il debito che ho con loro”.

Il guardiano notturno è un lavoro che ti mette a stretto contatto con i clienti. Cosa è cambiato con il Covid?
“Quando Edmond Dantès e l’abate Faria si incontrano, dopo anni di isolamento, la prima cosa che fanno è sorridere. Toccarsi i sorrisi. Forse quando quest’incubo finirà, ci abbracceremo così, per strada, con tutti. I casi in Francia sono molti, in alcune città hanno ricominciato a chiudere bar e locali. Gli alberghi sono semi vuoti. L’atmosfera in hotel è triste. Non potersi stringere la mano neanche tra colleghi, non poter abbracciare un vecchio cliente che hai conosciuto anni fa in un’altra città. È come se il Covid stesse riprogrammando la nostra umanità, il modo di percepirci. La mole subdola e silenziosa del suo impatto non era chiara all’inizio. Credo che ce ne stiamo rendendo conto a poco a poco”.
Progetti futuri?
“Nel prossimo numero della rivista Leggendaria ci sarà un mio articolo sulla figura di Camilla Faà Gonzaga. Ne parlerò anche in una conferenza (virtuale) a fine ottobre, con gli studenti dell’Augusta University. Nel 2021 esce un libro per la Iacobelli. E nel frattempo, sto apportando le ultime modifiche al mio romanzo napoletano”.