Storia terribile delle bambine di Marsala – il delitto che sconvolse l’Italia intera è un libro dell’autore palermitano Antonio Pagliaro, edito da Zolfo Editore. Una storia torbida, ancora ricca di punti oscuri e raccontata minuziosamente nella prefazione ineccepibile di Pietro Melati in cui la descrive così in questo passaggio:
“Marsala, con i suoi dubbi procedurali, le sue polemiche, le ritrattazioni e i colpi di scena anche mediatici, anticipa quella “guerra civile a bassa intensità” che divide periodicamente l’Italia, dagli anni della Democrazia Cristiana fino al terrorismo, da Mani Pulite all’era Berlusconi, dal processo Andreotti al caso Contrada”.
Per raccontare e studiare le dinamiche di un delitto bisogna addentrarsi nel tessuto sociale, scrutare ogni particolare e cercare di carpire quanto più informazioni possibili. Pagliaro ha voluto introdurre tutti i suoi lettori in quel tessuto sociale, accogliendoli con una mappa in cui sono riportate le varie zone che hanno fatto parte di questa storia e di tutte le persone coinvolte. Segue poi un lungo elenco di nomi che racchiude tutti i protagonisti di questa torbida vicenda, dalle vittime ai carnefici, dai familiari ai testimoni, dagli avvocati ai parenti. Tutti nomi che, a vario titolo, sono entrati in questa storia a gamba tesa e ne sono usciti con la morte nel cuore per un dramma che ha sconvolto l’intera nazione.
Era il 21 ottobre del 1971, la città di Marsala era certamente diversa rispetto a come è oggi. Tante le case in costruzione, tanti i ruderi abbandonati e soprattutto tanta povertà. Potremmo anche dire che per certi aspetti non è cambiato nulla, ma non è certo il momento e il luogo per entrare in grovigli di polemiche con sfumature politiche. Non adesso. Ma andiamo avanti. Antonella Valenti aveva nove anni, Ninfa e Virginia Marchese avevano rispettivamente sette e cinque anni. Erano tre bambine cresciute nella povertà più assoluta, tra le case popolari INA, con il cemento e lo sporco. Giocavano spesso in strada, non potevano permettersi giocattoli e grandi cose come forse adesso sono abituati i giovani d’oggi, così viziati e così poco abituati al lavoro. No, Antonella, Ninfa e Virginia avevano una sola bambola, talvolta imperfetta ma non era importante. La fantasia creava mondi sconfinati dentro cui viaggiare, sognando forse un mondo diverso rispetto a quella povertà. Erano brave nei lavori di casa. Quel giorno lasciano la scuola elementare Pestalozzi di Piazza Caprera a Marsala e dopo aver percorso Via Nino Bixio e Via Campobello per raggiungere casa, svaniscono nel nulla. Erano le due del pomeriggio di un giovedì.
Dove sono le bimbe? Partono le ricerche in lungo e in largo ma non emerge nulla. Si occupa del caso Cesare Terranova, da quattro mesi procuratore della Repubblica. Nessuno si sarebbe mai aspettato un fatto simile a Marsala. Nessuno avrebbe mai pensato che tre bambine sarebbero state rapite. Era una città quiete fino a quel momento. Vengono subito interrogati i genitori, compagni di scuola e i vicini. Per diversi giorni si brancola nel buio, non si trova nessuna traccia delle bambine: dove sono finite? Le famiglie hanno paura, gli uomini setacciano in lungo e in largo le campagne e organizzano ronde a caccia del “Mostro”. E’ un maniaco? Un pervertito? Chi è il mostro?

Arriva il primo testimone, Hans Hoffmann. Si tratta di un benzinaio che diversi giorni dopo dice agli inquirenti di aver visto le bambine a bordo di una 500 L Blu. Erano loro? Parte la caccia all’autovettura, vengono censite tutte quelle della città, alcuni proprietari hanno paura a guidare la propria macchina in strada per timore di essere etichettati come “mostri”. Erano davvero le bambine? Il benzinaio poi svanisce misteriosamente nel nulla e la sua testimonianza viene smentita poco dopo. Le ricerche delle bambine intanto sono incessanti, in tutto il territorio marsalese e non ma non danno alcun esito. Ma pochi giorni dopo, però, Vito Passalacqua e Gullo, in contrada Rakalia, dopo essersi fermati per un bisogno fisiologico in una vecchia scuola abbandonata, ritrovano il corpo della piccola Antonella.
Il corpo della bambina era stato avvolto dal nastro adesivo e bruciato. Chi aveva agito con tanta crudeltà? Perché? Dall’autopsia emerge che Antonella era stata torturata ma non aveva subito violenza sessuale. Una perizia che va in contrasto con la precedente. Un boomerang che si rimbalzerà per anni tra i banchi dei tribunali. Si inizia a parlare di vendetta nei confronti della famiglia, di delitto rituale ma anche di tante altre piste. Cade l’attenzione su un componente della famiglia Marchese, tale Michele Vinci, lo zio della bambina. Un personaggio che in quei giorni riserva tante premure alla famiglia ma che stranamente non era andato a trovare la nipotina il giorno del ritrovamento pur avendo avuto il permesso dall’azienda presso cui lavorava. Il nastro che legava il corpo di Antonella proveniva dalla Cartotecnica SanGiovanni e il giorno del delitto, dalle 12 alle 16, l’unico dipendente che non era in ditta era proprio Michele Vinci, il fattorino.

Lo zio Michele viene interrogato e confessa il delitto “semplicemente le ammazzai!”, indicando pure il luogo in cui erano state occultate le sorelle Marchese. Gli inquirenti si precipitano subito a Podere Guarrato e trovano i corpi senza vita di Ninfa e Virginia all’interno di un pozzo. “Il criminale è un marsalese normale”, rimbomba nelle case della gente incredula e che aveva conosciuto Vinci, alcuni gli avevano pure affidato i figli e altri ancora lo aveva accolto in casa come una persona per bene. Nessuno ci credeva, nessuno voleva accettare la storia che il mostro fosse proprio lui, lo zio: quello zio tanto premuroso quanto insospettabile, tanto presente in piazza con il forcone in mano per acciuffare il maniaco quanto attento e scrupoloso nelle battute di ricerca con gli inquirenti. No, non ci voleva credere nessuno eppure era proprio lui, quel piccolo uomo con i capelli neri e la giacca troppo elegante per una coscienza sporca. Chi è davvero Michele Vinci?
E’ un mostro in balia di squilibri ormonali incontrollati oppure ha agito per conto terzi? No, secondo gli inquirenti non ha agito da solo. Qualcosa non quadra in questa torbida storia. Tanti i punti oscuri, alcuni mai del tutto chiariti. Malgrado le confessioni di Vinci, spesso impreziosite da dettagli che coinvolgerebbero personalità di spicco della politica o complici che configurerebbero la presenza di un’organizzazione vera e propria dietro a delitti e rapimenti, le domande sono ancora tante e forse rimarranno per sempre senza risposta. Dove è stata tenuta Antonella nel corso della sua prigionia? Perché Michele Vinci avrebbe dovuto bruciare il corpo della bambina? Una domanda a cui lo stesso Vinci non ha saputo dare una risposta. Vinci dichiara che la piccola Antonella sarebbe stata tenuta prigioniera nella baracca di Guarrato e che la piccola avrebbe visto entrare qualcuno. Chi? Dove è stata tenuta prigioniera la piccola Antonella? Con l’aiuto di chi? L’autopsia su Virginia e Ninfa ha stabilito che le piccole sono sopravvissute per almeno 15 giorni. Eppure un essere umano può vivere mediamente 6 giorni senza acqua. Chi le ha nutrite?