Il Belpaese è maschio o femmina? L’Italia è patria o matria? E’ madrepatria. Potrebbe essere un termine di compromesso se considerassimo che siamo sempre stati governati da uomini, ma l’Italia è donna. Così è stata raffigurata in monete e statue fin dagli albori. Ce lo racconta il bel volume L’Italia immaginata. Iconografia di una nazione, edito da Marsilio e curato da Giovanni Belardelli, che raccoglie quattordici saggi che ripercorrono per immagini duemila anni di storia del nostro Paese.
Belardelli scrive che “la personificazione femminile del Paese costituisce da tempo uno degli elementi che ci identificano in quanto italiani”. Noi italiani amiamo la madrepatria ma in effetti non abbiamo un’immagine chiara di chi sia, perché quella millenaria è stata snaturata dal dopoguerra, diventando una caricatura e finendo relegata nelle vignette satiriche. Allora che donna è l’Italia? Come è stata raffigurata e immaginata fino a un secolo fa? “La tradizione iconografica richiama le Amazzoni anche per la loro verginità, che simboleggia l’integrità del territorio, non violato da alcun conquistatore”. Una donna che purtroppo non esiste ma che vorremmo risorgesse, perché è forte, intrepida e libera. La madrepatria è una terra dei padri in cui le madri hanno fatto la differenza perché erano simili a dee. Personificavano la Grande Madre, chiamata Cibele, Minerva, ma importata dal vicino Oriente dove si chiamava Hepat, Astarte, Artemide, Afrodite.
Infatti, come racconta Francesco Marcattili, è proprio Roma che alla fine del III secolo a.C. viene ritratta come una donna armata in abiti amazzonici. Mentre nelle monete la personificazione dell’Italia è una donna turrita che combatte contro Roma, perché in lei si riconoscono quelle genti del centro-sud del Paese che cercavano di ostacolare l’avanzata dell’Urbe. Due secoli più tardi l’oligarchia romana comprenderà la necessità di concedere la cittadinanza a quelle popolazioni estendendo il suo territorio che chiamerà Italia.
Da allora l’Italia porterà sul capo una corona turrita a simboleggiare le torri delle città che proteggeva e che rappresentavano i propri inviolabili confini.
L’Italia rimane per secoli una giovane combattente pronta a difendere la nazione fino a che Mussolini non si mette in testa di impersonarla. Risultato: una donna mascellare con i muscoli che Mussolini sognava di avere. Uno scherzo della natura, come si può vedere dalle raffigurazioni di Mario Sironi e Gino Boccasile. Per fortuna Mussolini sparisce dalla faccia della terra e la madre della terra italica ritorna ad essere una donna. Regale come non mai e non solo madre, ma sorella. Nella copertina della Domenica del Corriere di Walter Molino del 25 ottobre 1953, vestita di una tunica tricolore, accoglie a braccia aperte l’ultima Amazzone, Trieste, che si ricongiunge alla madrepatria. L’indomita Trieste, i capelli al vento, è avvolta da un vestito rosso a uno spallino con l’alabarda bianca al centro.
E ora come siamo caduti in basso! Nessun rispetto più per l’Italia, diventata una ragazzetta qualunque che, per avere un momento di gloria, se ne va a sfilare come una scimmia al concorso di Miss Italia. Magari diventa reginetta, le mettono una corona sfavillante sulla testa, si atteggia a dea Italia e, ironia della sorte, il suo fisico esile e anoressico finisce smembrato dai contendenti: Luigi Di Maio, Matteo Renzi, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi, come da vignetta di Giannelli del 2018 sul Corriere della Sera.
Ora ve lo posso dire: l’Italia non è una madrepatria, solo una patria dove oggi più che mai comandano gli uomini perché le donne si pavoneggiano a fare le oche giulive, neanche dovessero difendere il Campidoglio. Come sono dissacrante, quando invece ci sono donne (poche) in parlamento e al governo. C’è per esempio la fratella d’Italia Giorgia Meloni che sta aumentando di voce e di volume con l’aumento dei sondaggi a suo favore. Speriamo che un domani non diventi premier e, guidata dallo spirito del duce, non si faccia ritrarre vestita da Amazzone, alta due metri e spada in resta. In politica la cultura dell’immagine soccombe a quella del linguaggio: vale più quello che dici, prometti, di come appari. Ma in fondo apparire o raccontare sono sempre solo narrazione. Non abbiamo bisogno di parolaie ma di donne alle cui parole seguano i fatti.