Siamo tutti fan di qualcosa. Tutti hanno una storia preferita, una narrativa in cui sembrano ritrovarsi, una realtà creativa dentro la quale amano perdersi. Non solo, tutti hanno maniere preferite di perdersi nei loro mondi: c’è a chi piace perdersi leggendo nelle parole d’un libro, chi preferisce i fumetti, chi vuole esplorare episodio dopo episodio, o in un film unico. Ciò che conta, però, è il riconoscere una costruzione narrativa che ci coinvolga, ed esplorarla a fondo. Per questo, tra i prodotti più costanti della razza umana degli ultimi millenni, figurano le storie. Milioni su milioni, formati su formati, generi su generi. La varietà delle nostre creazioni sembra non conoscere limiti. Dal veritiero al fittizio, la sconfinatezza di contenuti nei quale perdersi s’avvicina all’infinità abbastanza da attrarre individui diversi da ogni direzione, creando piccole comunità di persone unite da una cosa sola: l’amore per la stessa storia. Sono proprio questi sentimenti, questi sensi di vicinanza, queste diverse emozioni che solo le storie ci lasciano vivere, che si festeggiano al ComicCon che si è tenuto lo scorso weekend al Javits Center di Manhattan.

La Comic Book Convention, che si tiene in una ventina di città diverse negli stati uniti sotto lo stesso nome, inizia oltre quarant’anni fa come una semplice conferenza sullo sviluppo e il progresso dei fumetti. Da quando si è tenuta la prima edizione sotto al sole di San Diego nel lontano 1970, però, il ComicCon si è trasformato in tutt’altra bestia. Viste le immense file di fanatici che la conferenza cominciò ad attrarre, ed il continuo sviluppo di nuovi modi di raccontare, negli anni l’idea si espande verso tutti i confini della narrativa popolare. Nonostante il nome rimanga lo stesso, con il passare dei decenni, il ComicCon passa da un festeggiamento dei fumetti ad un festeggiamento delle fan base: di quel senso d’insieme che si prova nel perdersi nella stessa storia. Quindi, nonostante l’influenza dei fumetti sia incredibilmente evidente, e nonostante rimanga comunque un tema centralissimo, nel 2018 il ComicCon non è più solo una sagra del fumetto, bensì una conferenza dove festeggiare le storie che ci emozionano di più.
In fatti, dietro le trasparenti mura vetrate del Javits Center, nell’infinità di baracchini del main floor della conferenza si trovano rappresentanti di libri, arte, fumetti, serie tv, film e anche videogiochi. Qui, nel piano principale della conferenza, i creatori di tutti i tipi di storie si schierano in un’infinita griglia di stand con fior di prodotti, merchandise, e novità dei mondi loro. Qui si possono infatti provare, analizzare e comperare libri, stampe, fumetti, dvd, cd, dischi, alcuni dei quali si trovano solo all’interno di queste mura in edizione limitata. Al main floor, in base alla popolarità del creato, alcuni mondi si ritagliano spazi più vasti e meglio allestiti. Quello di DragonBall, uno dei manga e cartoni animati più popolari di sempre, ad esempio, è uno dei più grossi ed elaborati che figurano al ComicCon. Dominante, sopra di esso una statua gigantesca di Shenron, il drago divino di questo fiabesco mondo alternativo, invita tutti i suoi seguaci ad indugiare nelle loro fantasie. Sotto di lui fumetti originali, i videogiochi, le serie, le stampe originali, ed un’esibizione di come venne sviluppato il concetto di ogni personaggio portano ogni fan più vicino alle forze mistiche che creano questo attraente mondo alternativo. I creatori di South Park, serie televisiva comica, ricreano invece l’aula di classe dove si svolge tantissima della loro storia. Perfetta in ogni minimo dettaglio, gli amanti di quest’altro mondo hanno l’opportunità di perdersi all’interno della fantasia narrativa che seguono da anni a questa parte.

Al di fuori degli stand dei giganti dell’intrattenimento narrativo, case produttrici indipendenti e più piccole possono presentare le loro nuove proposte ad ogni passante, o riscontrarsi con i loro primi seguaci. Dunque, il main floor del ComicCon offre una miriade di esperienze diverse, dalla realtà virtuale, ad uno spazio adibito per concerti che si tengono ogni ora, a produttori di stampe che sviluppano i loro progetti lì davanti a tutti. Questo, insieme a molto, molto altro che sarebbe impossibile listare, fa sì che al main floor ci sia qualcosa per tutti. Tutti si possono riconoscere nei personaggi riportati dalle stampe, ritrovare protagonisti conosciuti, o riscontrarsi i dei nuovi. Le esperienze sono tutte completamente diverse ed ognuna offre un cannocchiale unico a sé stesso per esplorare i limiti della propria fantasia. Anche se siamo già arrivati alla generalità, il ComicCon è molto più di ciò che si respira nel main floor.
Sotto di esso, in fatti, il Javits Center apre ai suoi patroni due strade interamente diverse. Da una parte c’è l’Artist Alley, una lunghissima sala dove i disegnatori più talentuosi espongono i loro lavori ed aspettano richieste dal pubblico passante. Qui si tengono sessioni didattiche per chi vuole migliorare la propria tecnica, nascono collaborazioni, e si ideano concetti nuovi, tutto mentre si discute con colui (o colei) che ha disegnato i propri personaggi preferiti. Anche qui, come al main floor, pullula di gente che cammina avanti e indietro nel labirinto di baracchini. Prendendo la second via, però, si è subito inondati da uno strano silenzio ed una schiera di porte. Dietro ad ogni di essa si tengono pannelli e sessioni diverse tenute dagli esponenti dei mondi diversi. A differenza dei baracchini del main floor, questi sono veri e propri eventi. Neil Gaiman e Terry Pratchett, scrittori dell’incredibile libro Good Omens, che diventerà presto una serie tv targata Amazon, promuovono il loro mondo tenendo un pannello riguardo il world building. Presentano le loro idee, rispondendo alle domande dei loro fan, in qualcosa che diventa un vero e proprio evento culturale. I creatori di Cowboy Bebop, una delle serie tv Giapponesi più influenti di sempre, tengono invece all’interno della loro sala un evento che celebra il ventesimo anniversario della storia e ne esplora i cambiamenti nel tempo. Insomma, qui, il ComicCon diventa un centro di scambio di vedute culturali, con pannelli di esperti e presentazioni di livello altissimo per provvedere ad un’esperienza molto più immersiva di quanto si possa avere trotterellando per il main floor.
La cosa magica di questa conferenza, però, è che tutto ciò riposa sotto lo stesso tetto. Si può passare la giornata vagolando per le fantastiche e diversissime proposte del main floor, o si possono ascoltare e seguire gli eventi brillantemente orchestrati dal comitato organizzativo dell’evento. Ciò che ha dell’incredibile, quindi, è che la varietà di mondi che noi umani ci divertiamo a creare trova migliaia di riscontri diversi dentro queste mura, dando l’opportunità ai loro “residenti” di esplorarli ancora più a fondo. L’esperienza, dunque, diventa qualcosa di completamente avvolgente. Da i travestimenti e costumi dei fan più arditi, alle tecnologie, alle nuove storie, alle varie esperienze degli stand, ai vari pannelli ed eventi, non c’è un minuto di noia. Non c’è niente da fare, il ComicCon offre troppa varietà per lasciare chiunque deluso. Chiunque tu sia, qui dentro c’è una storia o un’esperienza giusta per te. Nel prestarsi a proporre qualcosa per tutti, naturalmente, il ComicCon diventa anche un’occasione per scoprire il nuovo, lo sconosciuto, che tu sia un fan o meno. Si viene a creare dunque un’infinita varietà di piccoli pezzi di mondi diversi che, disposti in uno spazio enorme, creano a loro volta uno strano pianeta alieno dal quale esplorarli uno per uno.
Proprio per questo considero il ComicCon una festa non del fumetto, ma della varietà della creatività umana. Perdersi all’interno della sua sconfinata fantasia rivela la profondità ed incontenibile forza di questi nostri poteri divini. Creiamo per noi stessi, e creiamo per esporre il nostro mondo, i nostri moti interni, a chi si vuole a sua volta perdere. Il motivo che più di 190,000 persone invadono il Javits Center nei quattro giorni di permanenza del ComicCon risiede proprio dentro questo surreale concetto. Vediamo le nostre fantasie. Toccandole con mano, ascoltandone i creatori, ci rendiamo conto dell’infinita bellezza del potersi perdere.