Di recente, sfogliando un catalogo d’aste parigino, mi è caduto l’occhio su un autografo disperso di Machiavelli. Si trattava di una lettera a Francesco del Nero, scritta da Sant’Andrea in Percussina il 26 settembre 1523. Come avevo potuto constatare coi miei occhi qualche anno fa, quando consultai alla Biblioteca Nazionale di Firenze il manoscritto II, III, 432 che raccoglie molte missive indirizzate al del Nero, la lettera manca all’appello alla carta 93. Eccola nel catalogo di vendita parigino del 16 giugno (n. 8, stimato 15-20,000 euro).
Siccome sono uno degli storici coinvolti nell’edizione nazionale delle Lettere familiari di Machiavelli, mi sono rallegrato di avere sotto mano la riproduzione fotografica del pezzo, sparito da più di un secolo. Ma mi son domandato se non fosse il caso di tentare un’azione più decisa, cioè di far esercitare allo Stato italiano il diritto di prelazione e restituzione. Ho così allertato il MIBACT, che ha messo prontamente in moto una rogatoria internazionale per bloccare la vendita.

Il furto avvenne nella seconda metà dell’Ottocento, quando la Biblioteca Nazionale e tante altre istituzioni librarie e archivistiche nella penisola italiana erano facile preda per esperti ladri di autografi, che rivendevano il prezioso maltolto sul mercato antiquario, che era assai florido in Europa, in Russia e in America in quel momento con la moda di possedere autografi di grandi uomini tipica dei nouveuax riches.
Mi sono recato di persona alla casa d’aste, la celebre Drouot su rue Drouot (abito a mezz’ora di cammino seguendo gli affollati boulevards e le rinfrescanti galeries parigine), e sono andato a verificare l’efficacia della mia azione indiretta. Quando ho chiesto con nonchalance il lotto numero otto (pessima rima), mi hanno detto che era stato ritirato – unico fra i 900 in vendita all’indomani.
La responsabile dell’asta aveva l’aria molto delusa. A quanto sembrava “les Italiens” avevano rivendicato il lotto che apparteneva a qualche biblioteca. Non sapeva di avere davanti il responsabile della sua delusione. Ci ha tenuto a dirmi che la lettera era stata acquistata in una vendita privata in Germania nel 2004, e lì non c’erano stati problemi perché la cosa era passata sotto il radar delle autorità. Il compratore era il famigerato monsieur Lheritier, un personaggio che sembra avere il proprio destino iscritto ironicamente nel proprio nome.
Questo astuto speculatore aveva costruito un vero e proprio impero di carta autografa e miniata, battezzando la propria operazione Aristophil, nome chic ed esclusivo che ha attirato non pochi piccoli investitori che si aspettavano un ritorno di interesse garantito dell’8% annuo sulle vendite di manoscritti da lui ampiamente sopravvalutati. È la classica catena di Sant’Antonio o Ponzi scheme che nella finanza spericolata à la Bernie Madoff ha già fatto tante vittime, e sempre ne farà se, come scrive Machiavelli nell’immortale capitolo 18 del Principe: “e sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare”.
In effetti, è una storia piuttosto incredibile: Machiavelli è letteralmente the tip of the iceberg! Il manoscritto di Titanic che faceva parte della prima asta di dicembre scorso è rimasto invenduto. Invece Le 100 giornate di Sodoma e Gomorra del marchese de Sade e il famoso manifesto di Bréton, i due gioielli nella corona del truffatore, sono stati ritirati dalle vendite in quanto beni nazionali, e chissà a che prezzo li comprerà lo Stato francese. Insomma, ecco la perfetta combinazione di sadismo e surrealismo!
Tutta questa vicenda, o vicissitudine, sarebbe sicuramente piaciuta a Machiavelli, e ancor più al destinatario della sua letterina. Il banchiere Francesco del Nero aveva sposato una sorella di Niccolò e faceva del suo meglio per aiutarlo in un momento delicato della sua carriera, interrotta con un licenziamento in tronco tanto brutale quanto ingiustificato. Infatti Machiavelli si considerava un leale servitore dello Stato fiorentino indipendentemente da chi lo governava. Non la pensavano così i Medici, che nel novembre 1512, un paio di mesi dopo essere rientrati a Firenze dopo un lungo esilio di diciotto anni, lo avevano liquidato senza neanche un thank you.
Come sappiamo, quel disoccupato scomodo fu prima sospettato di aver partecipato ad una congiura anti-medicea nel febbraio 1513, fu torturato ma non confessò. Venne poi liberato grazie all’amnistia seguita all’inaspettata elezione al soglio pontificio del primo fiorentino della storia, il cardinale Giovanni de’ Medici, col nome di Leone X. Questo papa dalla fama di uomo bonario era in realtà spietatissimo (era stato lui stesso a decidere di mandar via Machiavelli) e ne diede prova negli anni a venire, quando si trovò a corto di denari – che amava spendere e spandere – sottraendoli ad un gruppo di cardinali accusati con un’elaborata montatura giudiziaria di aver tentato di avvelenarlo (ho dimostrato in un mio libro che la versione ufficiale, da cui dipende il modo di dire “abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno”, non era che fake news).
Machiavelli dedicò il Principe al nipote del papa, il non troppo magnifico Lorenzo, e non ne ottenne nulla. O quasi. Parrebbe che Filippo Strozzi, business partner di Francesco del Nero, gli abbia fatto pervenire un qualche donativo per il disturbo, e in seguito – quando Machiavelli era down on his luck, cioè aveva offeso la capricciosa Fortuna – lo abbia sostenuto più che poteva considerandolo uomo degno di “surgere”, ovvero di risalire la scala sociale dopo esser caduto in fondo. Guarda caso, l’autografo finì proprio nelle collezioni strozziane, e da lì in quelle di Leopoldo de’ Medici, e infine entrò ufficialmente nel demanio dello Stato italiano. Tout se tient, come dicono in Francia.
Arriviamo dunque al settembre 1523, mese della lettera parigina: a messer Niccolò è stata affidata la scrittura delle Istorie fiorentine, opera che dedicherà al secondo papa Medici, Clemente VII (ma al momento non è stato ancora eletto) e sollecita con vigore il pagamento del proprio salario. Chiude la lettera con una frase tipicamente beffarda: “Raccomandami a’ polli”. Non so se si sarebbe raccomandato anche ai galli, che di questi tempi amano alzare la cresta nei confronti dei “cugini” d’Oltralpe.