Noi figli e discendenti di esuli e profughi istriani, fiumani e dalmati – infoibati, assassinati, perseguitati e derubati – abbiamo il dovere morale di ricordare alle future generazioni le sofferenze degli avi. Sofferenze spesso indicibili per i sopravvissuti che proprio non trovavano parole per descrivere quello che avevano patito.
Per primo Virgilio nell’Eneide lo attesta: “Infandum, regina, iubes renovare dolorem”, ossia “Tu, o regina, mi ordini di rinnovare un dolore indicibile”, dice Enea alla regina di Cartagine, Didone, che gli chiede di raccontargli la fuga da Troia, dopo la sua sconfitta. Ma Enea non sa che la stessa Didone è una fuggiasca, un’esule che prova un inconscio bisogno di condividere un percorso di vita simile, per poter aprire di nuovo il proprio animo ad un legame e ricominciare insieme. Enea racconterà, si farà amare ma la lascerà senza rimorsi. Non proverà alcuna compassione per Didone, forse perché lei ha un regno, che per lui è tutto, mentre per lei una terra senza amore è solo apparenza di vita.
Si ricorda solo scrivendo. Solo la memoria può generare gratitudine e farci persone migliori. Perché ci fa sapere chi siamo apprendendo da dove veniamo, quali sono le nostre radici. E solo la memoria può offrire giustizia, almeno una giustizia morale che dobbiamo a coloro da cui discendiamo. Dobbiamo tramandare la loro storia che continua ad essere coperta da palate di fango da coloro che commisero questa efferata ingiustizia. Per vergogna, se così si può chiamare il sentimento di inadeguatezza sociale che provano quanti di costoro oggi vogliono tenere nascosti i fatti per essere riconosciuti persone civili, avendo raggiunto il benessere materiale, dimenticando che l’hanno ottenuto dopo aver ucciso e derubato dei civili, magari loro vicini di casa o comunque connazionali.
“Un’unica vendetta, la verità” dev’essere la nemesi storica. Ed è la rivelazione folgorante – enunciata da Rosanna Turcinovich Giuricin nel suo libro “Maddalena ha gli occhi viola” – di quanto deve esser ricordato “perché finché c’è la memoria, le ombre non svaniscono, ma vengono riportate in qualche modo alla luce…”.
Rosanna è una giornalista e scrittrice nata a Rovigno d’Istria dove è rimasta fino al 1991 quando, durante l’ultima guerra in Jugoslavia, è venuta con marito e figlioletto a Trieste. “In Istria vivevamo nella nostra comunità come in una bolla in cui eravamo italiani, ma al di fuori non lo eravamo, perché la nostra terra non era più italiana… Ho frequentato scuole italiane e mi sono laureata in giurisprudenza, ma quando sono arrivata a Trieste i mei titoli di studi non sono stati riconosciuti e all’ufficio del lavoro sono stata iscritta sotto la voce: manovale”. Rosanna non si è persa d’animo, si è riboccata le maniche e ha cominciato a fare la manovale culturale scrivendo dell’Italia Orientale perduta col sogno di costruire un ponte tra italiani al di qua e la di là del confine.
La ricerca di ricordi e testimonianze degli esuli della seconda guerra mondiale l’ha portata oltre l’Atlantico: in America. Voleva capire, condividere, perché lei si sentiva ugualmente esule, avendo deciso tuttavia di lasciare la famiglia in Jugoslavia, oggi Croazia, per trovare un futuro di pace in Italia. C’è riuscita. Ma non smette di cercare storie per far emergere la verità. “C’è un pudore di fondo che è difficile da superare, come se il fatto di esser sopravvissuti sia una colpa”, da ciò derivano “vere e proprie crisi di identità”.
In uno dei suoi viaggi oltre oceano ha conosciuto Miriam che è diventata la protagonista del suo libro: Maddalena. Miriam in una lunga intervista le racconta che non era italiana ma, vivendo a Trieste, si sentì italiana fino alla promulgazione delle leggi razziali che Mussolini fece a Trieste in piazza Unità nel 1938. La sua famiglia era ebrea e venne espulsa dalla città e messa su un treno alla volta della Cecoslovacchia, dove risiedevano i suoi nonni. Qualche anno dopo vennero deportati tutti in diversi campi di concentramento tedeschi, da dove ritornarono solo lei e una cugina, grazie all’aiuto di due soldati italiani. La comunità ebraica del Canada accolse Miriam che oggi è una madre e una nonna felice. Ha trovato la forza per raccontare la tragedia della Shoah perché “quando racconti una storia, questa prende vita”. Avrà capito lo sforzo di Rosanna di condividere la consapevolezza di un destino simile per far rivivere i propri cari?