“Che cosa c'è in un nome? Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d'avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome?”, si chiedeva Shakespeare in Romeo e Giulietta. Risponde il fotografo Luca Bracali, col suo libro edito da Mondadori dal titolo A rose is a rose, presentato il 28 Ottobre al Consolato Italiano di New York, dalla console generale Natalia Quintavalle e dal direttore dell’Istituto italiano di Cultura a New York, Giovanni Desantis. La tautologia del titolo da un lato esprime l’arcano contenuto nel nome "rosa" che, come ha sottolineato Desantis, “viene spesso usata come metafora di qualcos’altro, ma ciò che noi attribuiamo ad essa resta un meraviglioso mistero”; dall’altro, il libro-esplorazione nel vivaio di rose Barni ricorda che di rosa non solo non ce n’è una sola, ma che si possono inventare nomi diversi per sue nuove varietà.

La console Natalia Quintavalle con Beatrice Barni e Luca Bracali
Luca Bracali ha seguito per due anni e mezzo l’opera di coltivazione della famiglia Barni, che da quattro generazioni non si limita a produrre rose in provincia di Grosseto, ma ha una particolarità che può ergersi a vanto nostrano: fanno ricerca. Proprio così: la loro arte botanica non si limita all’azione magistrale di un gran pollice verde, ma va oltre il già conosciuto per inventare nuove tipologie di rose, dai nuovi nomi e dai colori intensissimi. “Sono toscana come queste rose – dice la Console Quintavalle – e sono felice di presiedere a questo evento in questo spazio meraviglioso che ha sulle pareti un’istallazione di un'artista, anche lei toscana, chiamata Velvet Park. Oggi cresciamo le rose Barni in un parco di velluto”.
Beatrice, Barni di ultima generazione, ha spiegato il procedimento che porta alla creazione di nuove specie di rose: “Le rose sono ermafrodite, dunque si riproducono autonomamente poiché contengono sia la parte ‘femminile’ che quella ‘maschile’ – ha raccontato, illustrando un video – Noi prima rimuoviamo la parte sterile del fiore, cioè i petali e lo stelo, poi prendiamo il polline di una qualità di rose che farà ‘da padre’ e lo mischiamo al pistillo di una diversa qualità affinché faccia ‘da madre’ e l’incrocio, quando è di successo, porterà alla creazione di una nuova varietà”. Il processo è lungo e delicato, sicuramente non verificabile al primo tentativo, ma richiede dai 7 ai 10 anni di prove e sperimentazioni, prima al chiuso poi in campo aperto per incentivare la fioritura e fortificare la nuova qualità di rose. I fiori che ne risultano hanno una tale vivacità e intensità di colori da pretendere i nomi più disparati: Missoni per le particolari sfumature, Ferragamo per una rosa identica al color rosa schocking utilizzato per le sue scarpe, Valentino per la rosa più rossa che ci sia e Papa Giovanni Paolo II per una rosa così bianca e pura che sembra messa sotto candeggio.

Le sale del Consolato di New York decorate con immagini delle rose Barni
Quattro stagioni per una rosa, della durata di due anni, che Luca Bracali ha voluto immortalare nel suo progetto fotografico ora divenuto un libro edito sia in inglese che in italiano, per il quale si prevede ampia distribuzione oltre i confini nazionali. Beatrice Berni ha invitato tutti i presenti a vedere dal vivo le meraviglie prodotte dal loro lavoro, aprendo le coltivazioni al pubblico per i mesi da maggio a novembre inoltrato, a volte dicembre, periodo di fioritura in cui le campagne toscane si tingono delle mille sfumature cromatiche inventate ad hoc, per rose dai mille colori e altrettanti nomi.