Questo divertimento machiavelliano alterna sapientemente il registro basso e alto, la volgarità disinibita e la lingua raffinata, la leggerezza e la gravità: insomma, cattura lo spirito allo stesso tempo burlone e serissimo del protagonista, il Segretario fiorentino. La scena (si può dirlo con buona ragione, dato l’impianto drammatico) è la Firenze afosa di fine maggio 1510, quando Machiavelli viene colpito da un’anonima denuncia per un atto sessualmente proibito, e cerca affannosamente di prevenire uno scandalo che potrebbe mettere fine alla sua carriera politica.
Una volta che si comincia a leggerlo, non si può più metter giù il librino. La scelta dello stile dialogico o monologico, sciolto e spiritoso, è acconcia al soggetto e alla storia, raccontata con un brio che a volte diventa malinconico. Dall’inizio “alle fine” (unico refuso, p. 59) ci si ritrova in compagnia del Machia senza dubitare che la maschera dell’autore, pur giocosamente autobiografica a tratti, non coincida con quella del suo personaggio. L’incontro pirandelliano iniziale con messer Nicia mescola genialmente e giovialmente la dimensione letteraria e meta-letteraria, che si fondono con fluidità fra citazioni vere e spurie. Del resto la distinzione fra scrittori di cose e di parole è proprio del siculo Luigi, al cui Umorismo Bausi è debitore non meno che alla Mandragola, oltre che alla brillante prosopopea dell’Elogio della follia erasmiano.
Francesco Bausi, noto studioso di letteratura umanistica ed esperto filologo, nonché biografo di Machiavelli, è la persona che possiede tutti i requisiti necessari per portare a termine con successo questo esperimento di immedesimazione e straniamento. Il gioco a incastro permette delle deliziose aperture e scoperte. In particolare il dialogo con Francesco Vettori, mezzo uomo del mezzo termine e della mezza misura, è assai convincente – sebbene a quella data l’amico poltrone di Machiavelli non fosse più scapolo e fosse già sposato con Maddalena Capponi (la sorella del futuro gonfaloniere, che escluderà Machiavelli dal governo dopo la cacciata dei Medici nel 1527).
Anche il dialogo con Guicciardini funziona a meraviglia, mettendo a confronto l’inquietudine dell’accusato con la prudenza del notabile. La sacrosanta insistenza sul “paradosso Machiavelli” (forse sarebbe stato un titolo più giusto, anche se meno sexy) come sul suo serissimo scherzare coglie profondamente la natura dell’uomo, così spesso frainteso dai voltolatori come Gennaro Sasso o dagli avvoltoi come Maurizio Viroli. Le frecciate ai fiorentini e ai politici e politicanti d’allora come di oggi sono tutte centrate, anche se a volte mirano più in basso, che in alto!
La parte più deliberatamente tediosa è quella dei postulanti in visita al Segretario, in attesa del verdetto – sebbene resti difficile credere che “il Machia” se ne stesse in ufficio mentre si decideva il suo fato e il suo futuro. E i vivaci scambi con la moglie Marietta sono di un realismo perfetto. La cauda cum veneno è fantastica (non la riveliamo per non rovinare la suspense) – sebbene Biagio Buonaccorsi, uccellatore uccellato, allora preoccupatissimo per la salute della sua Lessandra (data per morta il 22 agosto 1510, ed effettivamente dipartita il 16 ottobre) non avrebbe, a differenza del suo compagno di cancelleria, perseguito l’allora giovanissima Barbara.
Questo gustosissimo libretto mette sotto una diversa luce la nota pruriginosa sul “vizio fiorentino” nella biografia del Ridolfi, e fa riflettere su tanti incroci biografici precedenti e successivi a quel caldo maggio 1510. In conclusione, nessuno finora aveva colto così bene la solitudine del Machia, e la sua irresistibile rabbia satirica.
Scandalo Machiavelli. Un intrigo fiorentino, di Francesco Bausi (Edizioni Polistampa, Firenze 2014, 113pp.)
*Marcello Simonetta, autore de L’enigma Montefeltro (Rizzoli 2008-2013) e di Volpi e Leoni. I Medici, Machiavelli e la rovina d’Italia (Bompiani, in uscita nel 2014)