Alla presenza di un pubblico raffinato e attentissimo, su due seggiole rosse, avvicinate in un palco spoglio, siedono Valerio Magrelli e Nadia Setti. Per gli spettatori cercano suggestioni nel laboratorio linguistico e nella vita di Elsa Morante. Iaia Forte, accanto, in piedi sotto una luce diffusa, legge alcune pagine da L’isola di Arturo, il bel romanzo della Morante pubblicato nel 1957.
“Quella sera stessa volli alzarmi per cena. Ero ancora un poco malfermo sulle gambe, e scesi le scale con qualche stento. Ma risalendo, dopo cena, mi sentivo già più saldo; e la mattina seguente mi levai da solo, all’alba, pieno d’impazienza e di fame. La mia malattia era finita: altro non me ne restava più che una specie d’ubbriachezza, che dava ai miei passi un estro e una sonorità danzante… S’udirono gli strilli gioiosi di Carmine che scendeva le scale in braccio a lei; e all’udirli io non mi rammentavo neppure più che, in epoche preistoriche, egli aveva potuto essere il mio rivale! Non so quale capriccio subitaneo mi consigliò, in quel momento, di nascondermi dietro l’angolo esterno della casa… Ella certo dovette stupirsi, arrivando, di trovare la porta-finestra aperta e nessuno in cucina né sulla spiazzo…
Non pensò a cercare dietro l’angolo; ma si spinse, invece, verso la discesa della spiaggetta, dove incominciò a chiamare senza risposta: – Arturo! Artù!… D’un tratto io presi una corsa, e sopravvenendole alle spalle le dissi:- Sono qui. In un trasalimento di sorpresa, si volse contenta; e rimbrottò:- Dove te ne stavi? già ti metti in giro! Quindi, forse confusa da un che di aggressivo nei miei modi, mormorò, riguardandomi:- Artù, in questi pochi giorni ti sei fatto più alto… e intanto ella si andava discostando impercettibilmente da me; ciò era come confessarmi che le batteva il cuore… All’improvviso la strinsi, baciandola in bocca. Le sue labbra avevano un sapore freddo, marzolino; e la prima sensazione che ne ebbi non mi parve molto diversa da quello che si prova mordicchiando un’erba, o assaggiando dell’acqua di mare”.
Parole stralciate da La Catastrofe ultimo paragrafo del V capitolo intitolato Tragedie. Non ricordavo la suddivisione in tanti capitoli, ma l’incanto che mi aveva pervaso alla prima lettura del romanzo nel lontano 1975 era certo dovuto alla splendida sostanza della scrittura. Quella semplificazione del linguaggio nella quale consiste, secondo Elsa Morante, l’esercizio essenziale della poesia.
Mentre la parola della scrittrice, pronunciata, percorre la sala costruendo forme, luoghi, personaggi che credevo di conoscere ma che da quella voce nascono in una forma diversa, in certo modo nuova, mi accorgo di avere davanti una selva di teste immobili, in controluce, solo sagome pensanti. In definitiva, mi dico, una scultura di Fausto Melotti in chiaroscuro: sono i lettori che questa sera ascoltano la favola de L’isola di Arturo, il secondo romanzo della scrittrice, una sorta di ritorno all’Eden, nel senso di una esplorazione attenta della prima realtà, verso le sorgenti non inquinate della vita.
Ma accanto alle memorie di Arturo, sgranate in modo magnifico davanti alla nostra vita, ferma in ascolto, in questa serata “di grazia” scorgiamo appena Elsa Morante assillata a suo dire da una incoercibile pesanteur che la separa angosciosamente dall’incanto della felicità. Nata a Roma nel 1912, figlia naturale d’Irma Poggibonsi, maestra d’origine ebraica, e Francesco Lo Monaco, impiegato delle poste, fu riconosciuta da Augusto Morante, marito della madre e sorvegliante in un istituto di correzione giovanile, col quale crebbe insieme ai tre fratelli più piccoli.
Iniziò giovanissima a scrivere favole, poesie e racconti, editi su varie riviste tra cui “Il Corriere dei Piccoli” e “Oggi”. Nel 1936 conobbe Alberto Moravia, che sposò nel 1941 e insieme al quale frequentò Pasolini, Saba, Bertolucci, Bassani, Penna, Siciliano e Bellezza. Il suo primo romanzo fu Menzogna e sortilegio (1948), seguito dall’Isola di Arturo (1957), due capisaldi della letteratura italiana del Novecento. All’inizio degli anni Sessanta ebbe un’intensa relazione con l’artista Bill Morrow, che morì tragicamente a New York. Nel 1961 si separò da Moravia e nel 1963 pubblicò la raccolta di racconti Lo scialle andaluso, cui seguì Il mondo salvato dai ragazzini (1968). Sei anni dopo, La Storia fu al centro di un dibattito infuocato, mentre il suo ultimo romanzo Aracoeli, apparve nel 1982.
Ammalatasi per una frattura del femore, nel 1983 tentò il suicidio. Morì d’infarto nel 1985. Dopo i tre cicli dedicati alla poesia, e quello dello scorso anno sul romanzo europeo, gli incontri letterari dell’Auditorium di Roma, organizzati in forma di conversazione introduttiva all’ascolto del testo, sono proseguiti quest’anno con otto capolavori della narrativa italiana del secondo dopoguerra. L’incontro dell’altra sera ha chiuso il ciclo. Uscita dall’incontro prometto a me stessa di rileggere il romanzo. Il prossimo anno protagonista delle serate sarà la letteratura statunitense del Novecento.