“Non ho il Carlino…e senza Carlino non posso stare”, così scriveva nel 1885 il celebre poeta Giosuè Carducci al suo amico Zanichelli, pregandolo di spedirglielo nella sua casa in montagna. E il Carlino dopo 140 anni è ancora qui: a testimoniare, raccontare, provocare. Un giornale che ha camminato a fianco della Storia, sopravvivendo a guerre, regimi, rivoluzioni culturali e algoritmi. Se chiudi gli occhi, lo senti ancora: il fruscio delle pagine, il profumo di tipografia, la voce del tempo che non passa mai davvero. Ed è sempre il Carlino che, nato con una linea ben chiara: fornire informazioni sull’attualità locale e nazionale che fosse accessibile a tutti, anche alle categorie di lettori più “umili e popolari”, ancora oggi mantiene fede a quella linea. Lo confermano le parole dell’editoriale della giovane e brava direttrice del giornale, Agnese Pini, scritto per il numero speciale del 21 marzo scorso, 140° compleanno del giornale: “Fin dal 1885 il nostro patto è solo con voi. I giornali sono persone. Lo sono sempre stati e oggi, più che mai, esistono per raccontare storie: le vostre storie. E un principio che ci sta profondamente a cuore, ed è il fondamento del legame inscindibile tra il Resto del Carlino e i suoi lettori, cresciuti, si dice in queste terre, a “pane e Carlino”[…] Un giornale è una persona e pensa alle persone. E continuerà a farlo, evolvendosi, migliorandosi, rimanendo fedele alla sua missione. Restare dalla parte dei lettori, offrire ogni giorno il Resto del Carlino bello e completo, e tentare ogni giorno di migliorare, di andare più in profondità. Perché voi, cari lettori, siete il Carlino. Voi siete il nostro futuro, a voi dobbiamo tutto. Grazie”.
La notte in cui nacque e quel nome enigmatico
Bologna, prima notte di primavera del 1885. In due stanze al pianoterra di Palazzo Pallotti, quattro giovani avvocati che detestavano più i tribunali che le aule universitarie — Carboni, Chiusoli, Tonolla e Padovani — investivano cento lire ciascuno (quattrocento in totale) per fondare un giornale. Bastavano per una settimana. Eppure, è cominciata lì una delle avventure più longeve del giornalismo italiano.
La prima tiratura? 6.000 copie. Stampate a mano con una macchina piana, mille e duecento l’ora. Il primo articolo di fondo lo firmano: “I redattori” e spiegano “il come e il perché” della pubblicazione: “un giornale piccino per chi non ha tempo di leggere i grandi” dove dall’uomo d’affari all’operaio, dall’artista alle donne, tutti possano trovare facilmente le notizie esatte e recenti sugli avvenimenti più importanti e sui fatti accaduti a Bologna, in Emilia-Romagna, in Italia, con lo scopo di “invogliare alla lettura quelli cha alla lettura non hanno pensato mai”.
All’inizio doveva chiamarsi Il resto del sigaro, da distribuire nei tabaccai come resto di una baiocca da dieci centesimi, quando il sigaro costava otto. Fu Padovani, l’irriverente del gruppo, a opporsi, sia perché il nome era troppo legato al prezzo del sigaro, sia perché sembrava copiato da un foglio fiorentino con quel titolo. Così nacque Il Resto del Carlino, evocando la vecchia moneta da dieci centesimi — fuori corso ma ancora viva nei detti popolari — con il significato non solo di costare 2 centesimi ma anche di “mettere le cose a posto” e “dare una lezione ai potenti”. Un piccolo capolavoro di branding ante litteram.

La ragazza col sigaro
Un’immagine insolita faceva bella mostra di sé sulla prima testata: una giovane donna, abito chiaro e sigaro tra le labbra. Era il 1885. Un gesto di marketing spregiudicato e al tempo stesso un’anticipazione delle battaglie femministe che avrebbero incendiato il Novecento. Pochi mesi dopo — forse per il troppo scandalo — la signorina indossò un abito più castigato. E smise di fumare.
Tempi difficili, idee tenaci
Il Resto del Carlino aveva successo ma paradossalmente l’aumento del numero delle copie stampate fece saltare i conti e il responsabile dell’amministrazione scoprì che fra costi di stampa, commissioni ai tabaccai e spese varie non rimanevano che pochissime lire, e non bastavano neppure per pagare i collaboratori. Allora il prezzo del giornale salì da 2 a 3 centesimi ma fu un disastro e i tabaccai si ribellarono. Anche la raccolta di fondi per salvare il giovanissimo quotidiano che vide Carducci offrire le 500 lire richieste ai bolognesi benestanti, non raggiunse la cifra necessaria a tenerlo in piedi e fu allora che arrivò lui: Amilcare Zamorani, avvocato ferrarese e visionario instancabile. Comprò la quota di Padovani, uno dei fondatori e, dal primo gennaio 1886, prese le redini del Carlino. Aumentò il prezzo a 5 centesimi, investì in tecnologia (arrivarono la rotativa Marinoni e le prime linotype) e aprì alle donne in redazione — tra le prime Olga Ossani e Annetta Ceccoli Boneschi. Insomma salvò il giornale con una visione moderna e un’anima da vero editore. Con lui il Carlino diventò il quarto quotidiano in Italia per importanza e numero di copie vendute. Arrivò anche Missiroli che creò la terza pagina alla quale collaboravano Croce, Pascoli, Prezzolini, Oriani, Croce e tanti altri letterati, storici, economisti, filosofi, convinto che chiunque leggesse quella pagina del giornale doveva “pensare, non solo sapere”.
Nel corso dei decenni il Carlino raccontò la storia, anzi ci finì dentro. Durante il Fascismo fu diretto da personalità imposte dal regime; nel 1943 conobbe una breve stagione di libertà sotto la guida di Alberto Giovannini, che però durò solo 45 giorni, fino all’armistizio.
Dopo la liberazione di Bologna il 21 aprile 1945, il Carlino sparì dalle edicole per 3.483 giorni. Sospeso dagli Alleati per compromissioni con il fascismo, fu sostituito dal Giornale dell’Emilia. E solo nel 1954, dopo un referendum fra i lettori, tornò in edicola con il suo nome originale. Il popolo del Carlino aveva scelto: il suo giornale era il Resto del Carlino.
Spadolini e la rinascita
Il Rinascimento del dopoguerra portava un nome: Giovanni Spadolini. Storico, direttore dal 1955 al 1968, riportò la tiratura del giornale a cifre considerevoli, le più alte mai raggiunte, e anche lui, come aveva fatto Missiroli dal 1909 al 1921, quando fu poi costretto da Mussolini in persona a lasciare il suo Carlino, rivoluzionò la Terza Pagina rendendola uno dei salotti culturali più raffinati d’Europa. Collaborarono con lui Silone, Jemolo, Sartori, e anche illustri firme straniere come Aron, De Madariaga, d’Ormesson.
E poi arrivò la radio, la TV, il web. Il Carlino è passato in fondo indenne attraverso le tempeste. Ha cambiato sedi (ben cinque), formati, proprietà e ben 43 direttori. Ma ha sempre mantenuto l’anima dei suoi fondatori: giovani, irriverenti, convinti che l’informazione fosse un’arte, non solo un mestiere. E il suo editore, oggi come allora Zamorani, è un editore puro, che, nonostante le difficoltà che vivono i giornali di carta, non smette di innovare e di rischiare, come dimostra proprio il fatto di aver dato l’incarico della direzione delle sue quattro testate ad una giovane direttrice, primo caso in Italia, che in una recente intervista che mi ha rilasciato, ha sostenuto: “I giornali vanno rispettati perché hanno una storia, pertanto non si può stravolgere un giornale che ha una sua riconoscibilità storica. I giornali che vivono da più di cento anni, come il Carlino che ne ha 140, hanno costruito una tradizione di affidabilità con il lettore. Il lettore li compra perché si aspetta di trovare delle cose e se tu non gliele dai tradisci il patto con lui, quindi l’ultima cosa che farà un buon direttore è “cambiare”, può migliorare, adattarsi ai cambiamenti tecnologici, ma deve rispettare la storia del suo giornale”.
Anche per questo è importante festeggiare i 140 anni de il Resto del Carlino, sul quale il suo editore Andrea Riffeser-Monti, ha infine, commentato: “ Il Resto del Carlino è molto più di un quotidiano: è un punto di riferimento per la comunità, un testimone della storia del nostro Paese e una voce autorevole nel panorama dell’informazione. Celebrare 140 anni significa onorare una tradizione di qualità, indipendenza e radicamento sul territorio, ma anche guardare con determinazione al futuro, continuando a innovare per rispondere alle sfide del giornalismo moderno”.