Storia di violenza, in ogni declinazione, degli indiani d’America. Dal massacro a Wounded Knee nel 1890 all’occupazione di Wounded Knee nel 1973. Raccontata come una farsa tragica, una commedia slapstick, piena di acrobazie, cambi di costume, ammiccamenti, interazioni con il pubblico. Si intitola Between two Knees ed è ora in scena al nuovo Perelman Performing Arts Center.
Lo show è lunghissimo, tre ore, il pubblico ride molto e il tempo scorre, ma un’ora in meno gli potrebbe giovare. È comico in modo grottesco, acrobatico, con battute sui bianchi, ma anche sugli indiani.
“Va bene ridere – spiega il narratore Larry (Justin Gauthier), rivolgendosi al pubblico di americani bianchi – non vi preoccupate, i vostri privilegi saranno gli stessi quando andate via. Quindi sedete tranquilli, godetevi lo show e ridete con noi.” Lo stesso dice quando rompendo la finzione della quarta parete fa passare un cestino per le offerte (destinate ai giovani delle riserve) “Non siate tirchi – dice – alla fine sarete sempre voi a possedere tutto”. Il cast entra imitando gli stereotipi degli indiani mentre in sottofondo si sente la musica di Irving Berlin I’m an indian too. Larry allora spiega quanto sia stato difficile mettere insieme il cast (per i tanti stermini compiuti) “alla fine abbiamo dovuto prendere un cinese”, dice.
“Se dobbiamo parlare del nostro trauma lo vogliamo fare ridendo a modo nostro – spiega Wilson, uno degli autori – ridere è il nostro potere.”
L’ironia, a quanto dicono, è stato il modo che gli ha permesso di superare gli orrori e le violenze della colonizzazione. Un finto gioco della ruota, come in “Wheel of fortune”, all’inizio ne dà il senso. “È una sezione adattata al luogo in cui va in scena il lavoro, cerchiamo di ricordare sempre dei massacri locali e non è difficile trovarne” spiega il regista Eric Ting.

Creato dai cinque componenti, provenienti da diverse tribù, della compagnia 1491 (l’anno prima dell’arrivo di Colombo in America) Sterlin Harjo (origini Seminole e Muscogee), Bobby Wilson (Sisseton-Wahpeton Dakota), Dallas Goldtooth (Mdewakanton Dakota e Diné), Ryan RedCorn (Osage) e Migizi Pensoneau (Ponca e Ojibwe) Between two knees è nato per caso. La compagnia stava avendo successo con lo show Reservation Dogs (tre stagioni in America su FX e Hulu e su Disney+ altrove) quando ha ricevuto l’offerta dall’Oregon Shakespeare Festival di creare un lavoro teatrale. Non sapevano da che parte cominciare, era la loro prima esperienza di scena, e si sono messi tutti a scrivere, ognuno con idee, esperienze personali diverse. Between two knees è un lavoro con momenti molto diversi quindi, che ha però riscosso un notevole successo negli allestimenti a Seattle, Princeton, e Yale. A New York è di scena fino a fine febbraio.
Racconta la storia fittizia di una famiglia dalla strage dei Lakota a Wounded Knee Creek, dove il Settimo Cavalleria il 29 dicembre del 1890 ha ucciso circa 300 persone fra cui donne e bambini, ai collegi dove i ragazzi indiani venivano costretti alla “rieducazione” da suore e preti cattolici, attraverso la seconda guerra mondiale, quella di Corea e in Vietnam in cui gli indiani hanno combattuto, fino all’assedio di 71 giorni dell’FBI ai militanti di American Indian Association a Wounded Knee nel ‘73.

Il finale “So long, white people” immagina un universo in cui i bianchi non esistono più e gli indiani finalmente ripopolano il loro continente, gli animali sono liberi e non ci sono più guerre. Un finale che è stato oggetto di critiche, come parti del play, durante le quali persone del pubblico hanno abbandonato lo spettacolo. Non è successo alla prima al PAC dove ero io, anzi, ridevano tutti, bianchi e non, con gusto. Di certo la storia degli indiani può essere riletta come la storia di molti popoli sterminati da colonizzazioni di vario genere e non solo nel passato. Tocca nervi scoperti quindi, ma è proprio questo che i membri di 1491 vogliono ottenere, fra una risata e un balletto. Raccontare la storia dal loro punto di vista, una volta tanto.