Della solitudine e dell’amore. Dell’approvazione dei genitori e della riconciliazione con loro. Anche postuma. Di questo racconta All of us strangers o Estranei, film di rara sensibilità sulla sessualità e la solitudine, la marginalizzazione degli omosessuali, il bisogno di amore. Mi sono sempre sentito estraneo nella mia famiglia, dice il giovane compagno del protagonista in un momento di intimità: sentirsi estranei anche fra le persone che ci amano o ci dovrebbero amare per come siamo e non per come vorrebbero che fossimo, non è così per tanti di noi?
All of us strangers, scritto e diretto da Andrew Haigh, ha vinto il BIFA, British Independent Film Awards e conquistato al suo protagonista Andrew Scott la nomination come migliore attore per il Golden Globe che verrà assegnato il 7 gennaio. Tratto dal romanzo giapponese Strangers di Taichi Yamada, il film – nelle sale dal 22 dicembre in Usa – trasporta la storia su un sentiero molto meno percorso: invece dell’incontro fra un uomo divorziato e una donna in un solitario palazzo a conoscersi e amarsi qui sono due uomini, uno scrittore in preda alla crisi della pagina bianca e un giovane che affoga la sua solitudine nell’alcool.
Adam, interpretato dal bravissimo Andrew Scott, ha scelto di vivere in un grattacielo lontano dal centro di Londra per stare più isolato. Lo è: nel suo palazzo apparentemente vive solo un altro inquilino, Harry (Paul Mescal). Adam cerca di scrivere la storia della sua infanzia, batte a macchina “esterno casa periferica 1987”, ma non riesce ad andare avanti. Riguarda vecchie foto di famiglia, mangiucchia di tutto, ascolta vecchi dischi, Power of love da Frankie Goes to Hollywood, guarda fuori dalla finestra. Harry gli bussa alla porta con una bottiglia di whiskey in mano, vorrebbe entrare, Adam lo respinge. Sembra finita lì.
Per trovare ispirazione Adam prende il treno, torna alla sua casa d’infanzia e trova i suoi genitori che lo accolgono con gioia, sono giovani, più di lui, sono come li ha visti l’ultima volta prima che morissero in un incidente quando lui aveva 11 anni. Adam si apre con loro, gli confida di non avere una compagna, di essere gay, la madre si preoccupa che non prenda l’aids, che questo non lo renda troppo solo. Il padre accetta questa sua vita e anzi gli chiede scusa per non averlo consolato quando i compagni di scuola lo bullizzavano e lui piangeva nella sua stanza. Ed è allora che, tornato a Londra, Adam riesce a lasciarsi andare con Harry, a vivere felicemente la sua omosessualità, come se l’accettazione dei genitori gli permettesse di accettare finalmente se stesso.
Il tema è stato esplorato da Chiamami con il tuo nome, nel dialogo che il padre ha con il figlio, quando gli dice come vivi la tua vita è affar tuo. Dialogo che dice sostanzialmente: sei ormai un adulto, la vita è la tua, fanne ciò che vuoi. Haigh permette al protagonista di risolvere il suo tormento interiore con un incontro fantastico sovrannaturale che potrebbe risultare assurdo e se non fosse interpretato con grande credibilità da Clare Foy nel ruolo della madre e Jamie Bell del padre e naturalmente Andrew Scott.
Haigh ci racconta un universo di solitudine, una necessità di amore, di connessione, le mani e i corpi che si stringono superano barriere, ci rendono meno estranei. Abbiamo bisogno di queste connessioni “All of us strangers” isolati dal mondo e da noi stessi.