I licheni per salvare l’arte. Un team di esperti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), dell’Accademia Nazionale dei Lincei, della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia e dell’Università di Siena ha valutato l’impatto del particolato atmosferico metallico inquinante all’esterno e all’interno della famosa collezione conservata a Venezia attraverso un nuovo approccio di biomonitoraggio magnetico e chimico.
Lo studio che è stato pubblicato sulla rivista Environmental Advances, si basa essenzialmente su analisi chimiche per valutare l’eventuale presenza e l’impatto di sostanze inquinanti sulle opere attraverso una particolare tecnica che prevede il “posizionamento” di licheni sia all’esterno della collezione che nelle sale interne. In particolare i licheni che in questo caso funzionano come veri e propri sensori biologici che attraggono le particelle inquinanti, sono stati posizionati sulle opere di Picasso, di Marcoussis e di Boccioni. Come si evince dallo studio ,tuttavia, su queste opere non sono stati segnalati accumuli di sostanze tossiche, il che è certamente una buona notizia e dimostra anche che in caso contrario, questo metodo innovativo e non invasivo avrebbe permesso di intervenire tempestivamente sulla conservazione.
Siamo infatti nell’ambito delle tecniche ambientali multidisciplinari innovative che prevedono l’uso della natura e delle sue proprietà biologiche senza ricorrere a sostanze chimiche artificiali, che a loro volta risultano inquinanti o nocive per l’ambiente e per le opere.
“I licheni sono bioindicatori ben noti e straordinariamente efficienti, sia in ambienti interni che esterni: la possibilità di impiegarli come trapianti permette di confrontare le proprietà chimiche e fisiche prima della loro esposizione con quelle conseguenti al posizionamento nel luogo di cui si vuole delineare l’accumulo e la tipologia di particolato inquinante”, sottolinea Stefano Loppi, professore del Dipartimento di Scienze della Vita di UniSI, che ha curato l’esposizione lichenica e le indagini chimiche, insieme a Lisa Grifoni, dottoranda di ricerca UniSi e Ingv, entrambi co-autori dell’articolo.
Come si legge nello studio, per monitorare la collezione veneziana sono stati scelti i licheni poiché il Guggenheim di Venenzia è un ambiente acquatico, “in cui le sorgenti inquinanti sono differenti dal consueto traffico automobilistico”, aggiunge Antonio Sgamellotti, socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei e co-autore dello studio.
Questo nuovo approccio metodologico sembra avere ottime prospettive future, e infatti sono già in corso studi sull’area Palatina del Parco Archeologico del Colosseo, in alcuni musei di Buenos Aires, sulla Cupola del Brunelleschi della Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze ,e presso il Metropolitan Museum of Art di New York (MET), per indagare sulle possibili risorse degli ecosistemi forniti dal verde urbano al fine di ridurre l’impatto nocivo dell’inquinamento atmosferico sui beni culturali.