Solo fumo nero e vampate di fuoco in distanza. Solo colpi di rivoltella, grida lontane, richieste disperate di aiuto. E un muro, alto, con filo spinato. Gli ebrei sono dall’altra parte del muro, dice Hedwig, la padrona di casa, alla madre venuta in visita, ma stiamo facendo crescere dei rampicanti per coprirlo. Bastano i rampicanti, alla moglie del comandante di Auschwitz Rudolf Höss, per ignorare la tragedia al di la del muro, bastano dei fiori, perfetti, coltivati da lei, e gli schiavi giardinieri ebrei, per vivere la sua perfetta ipocrita felice vita domestica. In quella che fu definita la zona di interesse, i circa 65 chilometri quadrati intorno al campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia. The Zone of interest è il film che racconta in maniera superba, originale, indimenticabile, devastante, la banalità del male descritta da Hannah Arendt. Ha vinto il grand Prix del Festival di Cannes e si avvia a vincere l’Oscar come migliore film straniero.
Tratto dal romanzo del 2014 dello scrittore inglese Martin Amis, Zone of interest è stato elaborato per anni dal regista Jonathan Glazer che lo ha sceneggiato con ampie libertà rispetto all’originale. “Ho fatto un’enorme quantità di ricerche” ha detto “Volevo esplorare la capacità di violenza dentro ognuno di noi, ovunque ci si trovi. È molto facile prendere le distanze, pensare che non ci comporteremmo mai in quel modo. Ma dovremmo essere meno sicuri che saremmo così diversi in situazioni analoghe”.
Londinese, 58 anni, Glazer ha realizzato finora solo quattro film. Sexy Beast – L’ultimo colpo della bestia, Birth – io sono Sean (con Nicole Kidman), Under the skin (con Scarlett Johansson), e Zone of interest, a 10 anni di distanza. Nella sua sceneggiatura Glazer ha trasformato i personaggi di Amis nei reali protagonisti dell’olocausto: Rudolf Höss, e sua moglie Hedwig, sono veramente esistiti, lui è stato comandante di Auschwitz dal 1940 e dopo il processo a Varsavia è stato condannato a morte. Li interpretano gli attori tedeschi Sandra Hüller (già in Toni Erdmann e ora nel bellissimo Anatomia di una caduta) e Christian Friedel (Il nastro bianco).

Il film si apre con una scena bucolica: un picnic della famiglia Höss con amici, i bambini fanno il bagno e raccolgono le more poi tutti tornano a casa su due belle macchine nere. La casa è in mezzo ad un giardino, con piscina e serra. Al di là del muro. Il padre si preoccupa di spegnere tutte le luci la sera, la madre di fare odorare i fiori alla piccola in braccio. In lontananza il fumo delle ciminiere. Ma loro quell’odore di carne bruciata non lo sentono, le grida le ignorano. Mi chiamano la regina di Auschwitz, dice Hedwig alla madre, e solo questa frase, pronunciata con totale indifferenza, vale mille riflessioni su come è stato possibile portare avanti la soluzione finale. Lui riceve i tecnici che gli spiegano come ottimizzare il lavoro dei forni per procedere più speditamente all’eliminazione. “Bruciare, raffreddare, scaricare, ricaricare” sintetizzano asettici. Lei scherza con altre mogli di ufficiali nazisti sui vestiti presi ad una piccola ebrea troppo stretti per loro, misura una pelliccia e un rossetto trovato nella tasca. Questa vita in campagna è quello che desideriamo da quando avevamo 17 anni, dice, rifiutandosi di tornare a Berlino quando lui viene trasferito.
Ma a tratti l’orrore lambisce questa vita in campagna: l’acqua del fiume si riempie di grigie sostanze umane interrompendo il piacevole bagno della famigliola, la madre non resiste alla vista delle ciminiere al lavoro giorno e notte e va via senza preavviso, la bambina è insonne, mentre il fratello analizza a letto dei denti d’oro. E persino il comandante, alla fine, ha piccoli conati di vomito.
Il racconto piatto, distante, appositamente straniato, si fa improvvisamente caldo con immagini bianco e nero, termiche, di una ragazzina che lascia delle mele o delle patate, perché le trovino gli ebrei internati e scappa, forse una delle cameriere schiave ebree cui Hedwig in un momento di rabbia dice: se sbagli ancora ti trasformo in cenere come gli altri. Il padre intanto legge la favola di Hansel e Gretel, la strega e il forno dove li voleva cuocere, alle bambine per farle dormire.
Nessuno viene mai inquadrato da vicino, 10 cineprese usate contemporaneamente hanno permesso agli attori di girare fra le stanze senza interruzioni, senza luci cinematografiche, come in un documentario dell’epoca. Maestro dell’ambientazione visiva il polacco Łukasz Żal (artefice dei bellissimi Ida e Cold War di Pawel Pawlikovski).
La musica apre e chiude il film su uno schermo nero, la musica sperimentale di Mica Levi ci lascia immaginare tutto e ci accompagna alla fine con la cognizione precisa che l’orrore non è finito, che si ripete, ciclicamente, anche oggi. E come ci poniamo noi, al di là del muro?
In Italia Zone of Interest sarà nei cinema dal 25 gennaio, distribuito da I Wonder Pictures.