È l’incubo di tutti gli arrivi negli Stati Uniti. Quando non sei cittadino, o residente. L’interrogatorio al controllo passaporti. L’ufficiale che ti chiede in modo brusco cosa sei venuto a fare, perché, quanto ti fermi, dove vai a stare, ti scannerizza le dita, ti fotografa, guarda con sospetto il passaporto. Minuti di tensione anche se non hai nulla da nascondere, se tutto è perfettamente legale. Solo il modo autoritario con cui si viene interrogati mette a disagio. Fino al respiro di sollievo quando finalmente il passaporto viene timbrato.
Questo e molto altro racconta Upon Entry, il film spagnolo che ha vinto il premio del pubblico al sedicesimo festival spagnolo e latino americano a Roma.
È un film firmato da due cineasti venezuelani, Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vázquez, che hanno vissuto sulla loro pelle l’angoscia della secondary inspection, l’interrogatorio in una saletta a parte e l’ispezione corporea e delle borse a mano, solo per il fatto di essere venezuelani e quindi sospetti immigranti illegali. Sulla base della loro esperienza personale hanno deciso di scrivere e girare un film che è il loro primo e per il quale, dicono, hanno dovuto superare la difficoltà di trovare finanziamenti in Spagna, perché anche lì immigrati guardati con un po’ di sospetto. Alla fine Upon entry è stato prodotto da Zabriskie Films, Basque Films, Xosé Zapata, Sergio Adrià and Alba Sotorra.
Una coppia giovane, Diego ed Elena interpretati da Alberto Ammann (Narcos) and Bruna Cusí (Summer 1993) decide di trasferirsi negli Stati Uniti. Lei ha vinto la lotteria per la carta verde e lui la segue. Sono una coppia di fatto con una unione civile, lei è di Barcellona, lui venezuelano. All’ingresso a Newark vengono bloccati al controllo passaporti e portati in una stanza per una ispezione ulteriore. Rimangono lì ore, sottoposti ad un fuoco di fila di domande che piano piano li faranno sospettare l’uno dell’altro.
Una sorta di thriller psicologico oltreché di denuncia delle pratiche vessatorie degli uffici immigrazione, Upon entry vuole evidenziare la difficoltà di superare le frontiere anche quando puoi prendere un aereo per arrivare a destinazione e non sei costretto a intraprendere l’odissea a piedi e nei barconi. Ma vuole anche chiedere fino a che punto un cittadino di serie b, cioè proveniente da un paese non gradito, può arrivare per riuscire a cambiare la sua vita, e fino a che punto chi finalmente quella frontiera l’ha superata, e la vita l’ha cambiata (è il caso della poliziotta che li interroga interpretata da Laura Gómez, già in Orange Is the New Black) è disposto a perseguire quelli che stanno ancora dall’altra parte.
Frontiere e muri: non è un caso che il film inizi con la coppia in taxi con la radio che parla del muro di Trump e del muro che bisognerebbe costruire in Catalogna per renderla finalmente indipendente.
i due registi si sono molto ispirati a Sidney Lumet e il suo 12 Angry Men (La Parola ai Giurati) del ’57 per il modo in cui il regista riesce a cogliere tutte le sfumature dei dialoghi degli uomini chiusi per ore in una stanza. Per riuscirci hanno usato due cineprese puntate in close up sui due attori e sui visi dei poliziotti durante l’interrogatorio. Upon entry ha vinto premi al festival di Tallinn, al Raindance di Londra fra gli altri, uscirà nelle sale italiane il 1° febbraio, con EXIT MEDIA e presto anche negli Stati Uniti.