All’età di 87 anni, Juanita McNeely è morta lo scorso 18 ottobre al Lenox Hill Hospital a Manhattan. Lo ha confermato a inizio novembre il marito, Jeremy Lebensohn. NcNeely è famosa per le rappresentazioni del corpo femminile, in tutte le sue forme e dimesioni, riflettendo la sua esperienza personale fra piaceri e sofferenze.
“Che cosa c’è di così terribile in una donna che sanguina? È il modo in cui nasciamo e partoriamo, e moriamo, e viviamo”, aveva risposto l’artista a una signora che, guardando i suoi quadri con il figlio, le aveva detto che erano troppo crudi. Anche ricercando le sue opere, Google cerca di censurare alcune immagini come “non adatte”.
I tratti sono a volte delicati, a volte bruschi, sempre realistici. Viene rispettata l’anatomia del corpo, che si contorce, si distende, è sofferente, è sensuale, viene maltrattato o venerato. Come scrive il New York Times, “il suo soggetto di base era l’interazione fra due stati carnali: azione e passione, movimento e riposo, salute e malattia, amaro e dolce”.
Ci sono stati diversi episodi che hanno segnato la vita di McNeely, e quindi i suoi lavori. Nata a Ferguson, in Missouri, ricevette un primo riconoscimento alle superiori per alcuni dipinti a olio. Saltò diversi mesi di scuola perché ricoverata per un sanguinamento uterino eccessivo. Si laureò in arte alla Washington University, dove trovò il suo stile, e durante il suo primo anno universitario le fu diagnosticato un tumore. Le avevano dato massimo sei mesi di vita, ma riuscì a sopravvivere. In una delle prime visite, scoprì anche di essere incinta. All’epoca l’aborto era vietato, McNeely rappresentò l’esperienza drammatica dell’operazione illegale, fra le discussioni con i medici, il pregiudizio e la sofferenza del corpo, nel quadro “Is It Real? Yes, It Is!”, oggi di proprietà del Whitney Museum.
Poi nel 1967 si trasferì a New York con il suo primo marito, da cui poi divorziò, e trovò diverse comunità di artiste con cui cominciò a collaborare, fra cui le “Women Artists in Revolution”, le “Redstockings”, la “Figurative Alliance”. A pochi giorni dal suo secondo matrimonio, celebrato a Saint-Cézaire-sur-Siagne in Francia nel 1982, scivolando ricevette un duro colpo alla spina dorsale che la costrinse a usare la sedia a rotelle. Dopo le prime mostre con Mitchell Algus, dal 2020 ha cominciato a esporre alla James Fuentes Gallery; l’ultima a Los Angeles finisce il 18 novembre.