Una conciliazione a lungo desiderata. Frasi mai dette che si sarebbero volute ascoltare. Abbracci e parole agognate. Il video “Couscous” e le foto che lo accompagnano nella mostra “Tripoli” di Marina Sagona, dietro l’apparente significato della esplorazione di un piatto tipico nordafricano e di immagini di un passato che non potrà mai tornare, nasconde uno struggente bisogno di amore paterno. La mostra è stata curata da Barbara Pavan e Maurita Cardone all’interno della collettiva Follow the thread, organizzata da Arte Morbida, aperta dal 3 al 12 novembre in diverse gallerie e showroom di New York.
Marina Sagona è una artista concettuale, nata in Italia e trasferitasi nel 1995 a New York. ha lavorato per il New York Times e il New Yorker come illustratrice prima iniziare le sue esplorazioni multimediali. Il suo percorso artistico, e buona parte della sua vita, si è svolto quindi nella terra adottiva. Il padre Oreste è nato nel 1939 a Tripoli, in Libia, e si è trasferito in Italia nel ‘66. Buona parte della sua vita si è svolta quindi nella terra adottiva. Una ripetitività non casuale. La famiglia in parte era andata a Tripoli durata la colonizzazione fascista, in parte due secoli prima da Malta, durante l’impero ottomano. Furono poi tutti cacciati nel ‘70, dopo la rivoluzione di Gheddafi, “con le mani in tasca, come diceva mia nonna” ricorda Marina Sagona, senza nulla cioé, dopo le confische del nuovo governo rivoluzionario. Da allora la nostalgia per quel mondo e quella vita perduta per sempre, nessuno dei cacciati, salvo poche eccezioni sarebbe mai potuto tornare a Tripoli, ha costellato la vita della famiglia Sagona.

Da tutta questa memoria familiare nasce il video “Couscous”, costruito su più livelli di comunicazione: la voce del padre in sottofondo spiega in italiano come fare il couscous, mentre su un lato dello schermo scorrono le immagini degli anni ’60 di Tripoli, la spiaggia, il deserto, i palazzi, recuperate da vecchi film in 8 millimetri. Sull’altro lato il testo in inglese di Marina traduce le parole del padre, la spiegazione della cottura delle cipolle o della semola, nelle parole d’amore da lui mai dette e da lei a lungo desiderate. Bisogna vederlo più volte per apprezzare tutti i livelli di comunicazione e sentire anche noi quella nostalgia e quel desiderio struggente di abbracci.
“Il video parla del rapporto tra di noi – mi spiega l’artista – della mancanza di comunicazione e di come attraverso il cibo si crea un rapporto di controllo, e anche un po’ di manipolazione, ma i protagonisti di una manipolazione sono sempre due. Lui non dice una parola a nessuno, ma quando parla di cibo si anima, io tento di decodificare quello che gli passa per la testa, perché è sempre un po’ un mistero questo papà per noi. Il finale è su dove l’umanità va sempre alla fine: a casa. Tutto questo grande giro che si fa per poi tornare a casa. Ma questo per lui è impossibile. Anche io ora sono in agitazione, non voglio più stare fissa a New York, ma io posso muovermi.”

Insieme al video nella mostra “Tripoli” compaiono foto d’epoca tratte dagli album di famiglia e stampate su feltro. “E proprio lana – spiega Marina Sagona – che si è come assorbita le foto creando un effetto quasi di nebbia. Ci sono ancora i fili d’erba e i rametti della pecora nel feltro, sono foto di oasi, deserto, porto, fiera, Tripoli dell’epoca ed è come se fossero passate attraverso una tempesta di sabbia. Io volevo convogliare l’idea della memoria, della nostalgia, dei fantasmi del passato.”
Una nostalgia, della terra perduta, che prova anche l’artista di riflesso. “Tutte le foto della mia famiglia fino alla cacciata vengono da lì, c’è questa specie di Arcadia, questo posto mitico, dove si voleva sempre tornare, questo sguardo lungo verso il mare: vedi dall’altra parte c’è la Libia, mi dicevano, c’è la nostra vita. Una vita alla quale non si è mai potuti tornare perché prima c’era Gheddafi, poi c’era la guerra. Mio padre voleva sempre fare questo viaggio in Libia che non si è mai potuto fare”
Dopo l’apertura di questa mostra newyorkese Marina Sagona andrà a Barcellona per l’inaugurazione di “Stabat Mater” alla Ciquita Rooma dal 10 novembre al 23 dicembre, mostra composta di video stampe e pastelli sul tema invece del rapporto madre figlia.
“Tripoli” da Nero Cucine Showroom, 88 Prince Street suite 4c
Monday to Friday 10 am – 6 pm