A Pisa la mostra “Le Avanguardie” esalta l’audacia e il coraggio degli artisti che hanno sfidato la storia e gli accademismi dell’Ottocento. Ospitata da Palazzo Blu e aperta fino al 7 aprile 2024, raccoglie capolavori assoluti del Philadelphia Museum of Art 2024 che aprirono un varco verso l’arte del futuro: opere europee dei primi decenni del Novecento firmate da Chagall, Dalì, Duchamp, Kandinsky, Mirò e Picasso; e ancora Matisse, Mondrian, Klee, Ernst e Gris, artisti che non sono mai stati esposti prima d’ora nello storico Palazzo Blu di Pisa.
Dipinti e sculture si susseguono in un ritmo elegante e misurato che concede il tempo all’osservatore per entrare nell’opera e dedicarsi esclusivamente alla “storia” dell’immagine che ha di fronte, nel percorso ideato da Matthew Affron (curatore del museo di Philadelphia) e impreziosito dalla consulenza scientifica dello storico dell’arte Stefano Zuffi.

Ad aprire il percorso espositivo è l’Autoritratto (1906) di Picasso venticinquenne, seguito da installazioni visive, sonore e multimediali, collocate nella sequenza storico-temporale che va dalla fine della “Belle Époque” fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Lo stravolgimento dei canoni stilistici accademici e la forza innovativa rappresentano la forma di libertà alla base delle Avanguardie: una esigenza originata dalle costrizioni storico-sociali post-guerra, necessaria a restituire una identità più autentica, scevra da sovrastrutture, alla stregua di una integrità morale e personale e che si rifletterà, inevitabilmente, in tutte le forme di arte e di pensiero. E come ricorda il curatore Matthew Affron, è proprio Filadelfia la città che circa due secoli e mezzo fa “è stata la culla della rivoluzione e della libertà americana, che ha saputo accogliere tantissimi artisti europei e che, prima di altre, ha saputo valorizzare il genio di quegli artisti che portarono l’Avanguardia nel mondo, con una collezione che negli anni è diventata importantissima e ricca”.
Seguendo il percorso, si percepisce immediatamente il fervore di Parigi, fulcro europeo dell’arte, avvolgente città che accoglieva artisti da ogni parte d’Europa, in grado di stimolare e alimentare lo sviluppo di correnti di ogni genere, manifesti, eventi che passeranno alla storia “in un continuo desiderio di confronto con la società, la storia e gli accadimenti nel mondo”, come afferma lo storico Stefano Zuffi.
Incontri e dialoghi culturali indipendenti, dunque, come quelli intessuti con la scrittrice e poetessa Gertrude Stein (1874-1946), protagonista indiscussa di quel periodo, donna libera e visionaria, amica sincera e ispiratrice di artisti, letterati e poeti del tempo. Famose le cene organizzate nell’abitazione che divideva con Alice Toklas al civico 27 di Rue du Fleurus, luogo trasformatasi, nel tempo, in una vera e propria galleria d’arte.
È proprio in quegli anni che Picasso intuisce il segno del cubismo e la sua potenza: l’opera l’Uomo con il violino (1911-1912) non dà tregua visiva allo spettatore, solo un’apparente armonia grafica in totale contrasto con quella introspettiva, che lo obbliga ad interrogarsi sullo sgretolamento dell’identità che la società si apprestava a vivere e che Picasso stava anticipando. Nello stesso periodo e in netto anticipo sul surrealismo, Marcel Duchamp provoca e sorprende il pubblico con i suoi dipinti, come lo straordinario Macinacaffé (1913).
La mostra prosegue nel rispetto di quell’arco temporale passando all’astrattismo, con opere di grande intensità come quella di Kandinsky, Cerchi nel cerchio (1923); Klee e Mirò guardano al mondo del circo e della magia ovvero del sogno, aprendo un varco nella dimensione onirica e simbolica già accreditata dalla psicanalisi freudiana (e anche junghiana), come in Pittura (Fratellini) di Mirò e Prestigiatore di Klee (entrambi del 1927); ma anche il surrealismo di Ernst (Foresta, 1923), fino all’espressionismo. Mi rapisce Donna seduta in poltrona (1920) di Matisse, un’opera carica di sensualità, allo stesso tempo intima e inerme, colma di languida raffinatezza, nella quale è impossibile non avvertire il richiamo della poesia che trattiene.

All’opposto, ma non per questo meno affascinante, si rivela la rigida essenzialità delle opere di Mondrian, che irrompe con le sue composizioni geometriche e definite, alla ricerca di un ordine sintetico e di un equilibrio severo, nel tentativo di difendersi del caos imperante come da una inevitabile fragilità.
Chiude la mostra la Crocifissione di Chagall del 1940, un’opera importante che anticipa la tragedia di un’altra guerra tentando, nonostante tutto, di interpretare ancora una volta e con speranza, la storia.