È difficile immaginare che Tommaso Santambrogio abbia solo una trentina di anni: sembra aver vissuto già molte vite per la calma profondità con cui parla del suo cinema. Un cinema agli esordi eppure già frutto di una mano ed un occhio sicuri. Ha studiato con Werner Herzog e realizzato con i suoi consigli il corto Escena Final in Amazzonia. Con Lav Diaz ha realizzato il corto Gli oceani sono i veri continenti (entrambi i corti sono stati presentati al Festival di Venezia nel 2019) da cui è nato il film dello stesso nome presentato alle giornate degli autori al festival di Venezia 2023.
Gli oceani sono i veri continenti, Oceans Are the Real Continents, proiettato al festival Open Roads di New York, è particolare, lento anzi lentissimo, come certe pellicole degli anni ’50, e in fondo la sua ambientazione cubana e il suo essere girato in bianco e nero lo fanno proprio sembrare un film di altri tempi. Ma la storia è attuale, anzi le tre storie, che si intrecciano svolgendosi parallele, afflitte dagli stessi sentimenti: l’amore, la necessità di andare via, il dolore del distacco. C’è la coppia di amanti divisa fra il desiderio di restare e di partire, l’anziana che aspetta il marito andato a combattere in Angola e i due bambini che giocano a baseball e sognano di diventare famosi in America. Alla fine si ritroveranno tutti alla stazione nella lunga attesa del treno.

I tempi del tuo film sono poetici, cosa anomala per un giovane regista…
È bello avere un cinema che si prende dei tempi diversi. Oggi viviamo in una società con un ritmo di vita convulso, dove non c’è possibilità di fermarsi, pensare, ascoltarsi, entrare in contatto con la propria anima. Trovare lo spazio per relazionarti con altre storie, scegliere se entrarci in connessione oppure annoiarti, o addormentarti, o perderti, è una libertà che il cinema ha la responsabilità di dare.
Questi tuoi protagonisti li hai presi dalla realtà.…
Sì, ho lavorato con persone di cui mi sono innamorato artisticamente che pensavo rappresentassero bene quello che volevo esplorare e assieme abbiamo creato una narrativa di finzione mantenendo le loro caratteristiche e la loro essenza a livello umano. Questo mi ha permesso di esplorare cose che magari, se avessi scritto il film seduto ad una scrivania, non avrei potuto raccontare, non ci sarei mai arrivato.
Perché Cuba?
Conoscevo Cuba già da tanto tempo, ci sono andato spesso fin da bambino perché mio padre era molto legato all’immaginario cubano, alla cultura, all’ideologia. Poi ho studiato per un periodo alla scuola di cinema di Cuba e intanto passavo il tempo a San Antonio de los Baños, il paesino più vicino alla scuola, a 20 minuti, dove nessuno andava attratto invece dall’Avana. E lì ho incontrato i personaggi, una catena di incontri, che mi ha permesso di cesellare il mio film di finzione.
Due i temi fondamentali che affronti: la separazione e l’amore…
Sì, e la fine delle cose. Sono temi che trascendono qualsiasi paese, qualsiasi classe sociale. È incredibile che passi del tempo nelle township, nelle favelas, nelle periferie di Milano, come nel centro di New York, o di Roma, e l’amore sia una delle chiavi per interpretare la quotidianità, una delle forze che caratterizzano la vita delle persone in maniera straordinaria. L’amore può veramente salvare, darti un altro sguardo sul mondo, cambiare il tuo modo di relazionarti con la realtà: è una forza incredibile.
Quanto questa tua esperienza fuori dall’Italia ha influito sulla tua vita e il tuo cinema?
La mia vita è caratterizzata dalla relazione con l’altrove. il prossimo progetto sicuramente sarà collegato a un’idea di altrove, di altro, perché sono due cose molto legate, aprirsi e ascoltare il diverso da te, un’altra cultura, idea di casa, di radice, di identità, è per me molto interessante.

In tema di altrove ti interessa il problema delle masse umane che si spostano nel mondo?
Certo, tantissimo. Mi interessano il postcolonialismo e la migrazione. C’è un rimosso enorme rispetto a quelli che sono stati gli emigranti. in Italia non si ha la percezione che c’è un’Italia fuori dall’Italia, ricchissima e bellissima. E c’è un rimosso enorme legato alle colonie italiane: non si parla dell’eredità di questo colonialismo. Prima o poi questi nodi arriveranno al pettine. Siamo un popolo di santi poeti navigatori. E con questa cosa a un certo punto bisognerà fare i conti.