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Alain Parroni a Open Roads: “Parlo di una generazione sempre connessa”

Con "Una sterminata domenica", il regista racconta giovani che crescono tra stereotipi e contraddizioni nella periferia romana

Monica StranierobyMonica Straniero
Alain Parroni a Open Roads: “Parlo di una generazione sempre connessa”

Una scena di "Una sterminata domenica" - Foto di Gabriele Barcaro

Time: 5 mins read

Una sterminata domenica, vincitore del Premio Speciale della Giuria a Venezia Orizzonti dell’80a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è il film d’esordio di Alain Parroni. Presentato il 2 giugno a Open Roads, il regista racconta di una generazione che cresce tra stereotipi e contraddizioni in una società sempre connessa. La storia è quella di tre amici, Brenda, Alex e Kevin, che vivono nella campagna romana e si avventurano senza meta precisa in una domenica che sembra non avere fine. Il loro legame è messo alla prova quando Brenda scopre di essere incinta, Alex compie 19 anni e Kevin cerca di lasciare il segno nella città.

Una scena di “Una sterminata domenica” – Foto di Gabriele Barcaro

Perché un film sul mondo degli adolescenti e sulla loro ricerca di un senso dell’esistenza?

“Dopo gli studi di cinema, ho sentito l’impulso di esplorare il mio legame con questo medium. L’adolescenza, cruciale per definire identità e scopi, ha ispirato il film. Volevo comprendere fino a che punto il cinema influenzi la visione del mondo degli adolescenti, considerando l’eccesso di immagini a cui siamo esposti oggi. Ambientato nella periferia romana dove sono cresciuto, un luogo cinematograficamente ricco dove hanno girato grandi registi come Pierpaolo Pasolini e Sergio Leone, ho utilizzato un linguaggio che giocasse molto con il montaggio del suono e le inquadrature per creare un racconto visivo che fosse in sintonia con il cinema che mi ha formato, ma che allo stesso tempo riflettesse la mia personale esperienza adolescenziale. In sostanza, il film è stato un modo per comprendere il tipo di adolescente che sono stato e il tipo di adulto che vorrei diventare”.

Che tipo di cinema ti ha cresciuto?

“Sono nato nel 1992 e la mia crescita è stata influenzata dal cinema americano e giapponese, specialmente l’animazione. Il primo ha plasmato il mio modo di narrare i paesaggi e l’approccio tecnico e visivo. Anche la cultura cinematografica italiana, più incentrata sull’aspetto letterario, ha avuto un ruolo importante nella mia formazione. Ho cercato insomma di costruire una mappa dell’adolescente che sono stato, integrando tutte queste influenze: il contesto in cui sono cresciuto, la musica dei film d’animazione che ho amato e il linguaggio cinematografico che mi ha plasmato”.

Parlavi dell’adolescente che sei stato e l’adulto che vorresti diventare. Che adulto vuoi diventare?

“Vorrei diventare un adulto molto consapevole, soprattutto riguardo al linguaggio visivo. Credo che ogni pellicola, pur narrando storie altrui, sia profondamente personale. Attraverso la regia di un film, ci si immerge in un percorso di autoanalisi, portandoci a interrogarci sul nostro modo di percepire il mondo e sulle influenze che abbiamo ricevuto, sia dai genitori che dal cinema. Vorrei essere più consapevole del potere e dell’importanza delle immagini, specialmente in un’epoca in cui sono così diffuse e facilmente accessibili attraverso la tecnologia digitale”.

Una scena di “Una sterminata domenica” – Foto di Gabriele Barcaro

Le musiche originali del film sono del compositore giapponese Shirō Sagisu. Nel finale c’è una visione apocalittica con la sua musica. In che modo avete collaborato insieme?

“Le serie animate create da Shiro, che ho guardato durante l’adolescenza, sono sempre state di origine giapponese e hanno come tema principale dei mostri che devastano le città. Da Shingo Zilla a Evangelion, tutte le sue opere hanno un impatto distruttivo, ma mantengono anche un’intensa profondità esistenziale tipica delle produzioni nipponiche. Per il montaggio preliminare per la Rai, ho utilizzato musiche delle serie animate che mi avevano accompagnato da giovane. Grazie a Wim Wenders, che ha coprodotto il film, abbiamo contattato Shiro. Durante la nostra conversazione, ho capito che il film era un omaggio ai suoi lavori, ma non un semplice tentativo di imitarli: era una creazione originale e un tributo etico. Shiro è venuto a Roma per vedere il prodotto finale e abbiamo modificato le musiche per adattarle meglio alla visione del film. Da allora, continuiamo a collaborare”.

Nel film ci sono soltanto due figure adulte. Qual è il rapporto fra gli adolescenti e gli adulti nella tua visione?

“Sono cresciuto con genitori molto giovani, circondato da persone più simili a fratelli maggiori che adulti. Non ho ricevuto un’educazione tradizionale da figure genitoriali, ma ho imparato molto dall’ambiente in cui sono cresciuto. Gli adolescenti di oggi sono fortemente influenzati dai loro contesti di vita, che comprendono sia il mondo reale, con le sue città, come Roma e altre, sia il mondo digitale. Molti di loro mancano di consapevolezza emotiva, influenzati dal consumo veloce di contenuti digitali come serie TV e film sui social media.”

Una scena di “Una sterminata domenica” – Foto di Gabriele Barcaro

Quindi stai suggerendo che il ruolo tradizionalmente svolto dai genitori è ora occupato dai media?

“Secondo me, l’influenza dei miei genitori è stata superata dall’impatto dei film americani e giapponesi con cui sono cresciuto. Questo crea un contrasto generazionale che rende difficile il confronto su certi temi. Penso che il cinema abbia un ruolo importante per educare e stimolare le emozioni, soprattutto adesso che la presenza dei media e della rete è diventata pervasiva nelle nostre vite quotidiane”.

Questo film è in qualche modo autobiografico?

“Si, potremmo dire di sì.”

E ora cosa c’è nel futuro?

“Mi interessa esplorare due aspetti principali. Primo, il legame con il cinema, dal suo inizio: ho scritto una storia ambientato in America su un fotografo italiano che cerca di completare un libro su un’architettura americana e riflette su come il cinema statunitense abbia influenzato la sua visione del mondo. Secondo, desidero lavorare su un progetto d’animazione, magari coinvolgendo il Giappone. Infine, sto sviluppando un soggetto sui moderni idoli di riferimento”.

Con Una sterminata domenica è il tuo primo viaggio a New York?

“No. Sono venuto qui per la prima volta nove anni fa e ci sono rimasto per quasi due mesi da solo. Era l’anno in cui stavo realizzando un cortometraggio per il mio diploma e avevo pensato di farlo negli Stati Uniti. Tornato a casa, mi sono reso conto che c’erano molte storie vicine a me che non avevo ancora esplorato e ho iniziato a seguire un approccio leggermente diverso. Adesso, l’idea di un fotografo italiano che viaggia qui ha risvegliato la mia passione. Sebbene il Giappone abbia segnato un viaggio significativo nella mia vita, di New York mi colpisce l’architettura e il suo impatto trasformativo sul tessuto urbano, in stretta relazione con chi la abita”.

Le reazioni del pubblico al film che sono state molto diverse. Come te le spieghi?

“Credo che esista una diversa percezione delle storie tra le generazioni. Ho notato che gli adulti spesso comprendono l’importanza delle figure adulte, mentre i ragazzi lo apprezzano solo dopo la loro assenza. Questa dinamica è evidente anche nelle serie animate e nei film, dove i genitori hanno un ruolo marginale rispetto alle avventure dei ragazzi. Ciò conferma il crescente pericolo rappresentato dai media oggi e mi spinge a desiderare di sviluppare una maggiore consapevolezza come adulto e come regista per l’impatto che i miei film potrebbero avere sugli spettatori. In questo contesto, credo che Una sterminata domenica debba assumersi la responsabilità di trasmettere un certo tipo di contenuto che ritengo fondamentale per i miei progetti futuri”.

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Monica Straniero

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