Non è stata l’ennesima passerella di star e sorrisi da red carpet.: l’arrivo di Scarlett Johansson e Jodie Foster a Cannes 2025 è stato una doppia presa di parola. Due attrici che si mettono in gioco con progetti personali, rischiosi, imperfetti — ma proprio per questo interessanti.
Scarlett Johansson ha abbandonato i costumi in spandex e i set da centinaia di milioni di dollari per firmare il suo primo film da regista, Eleanor the Great, accolto nella sezione “Un Certain Regard”. Nessun effetto speciale. Solo una vecchia signora, una bugia e un’inaspettata amicizia. La protagonista, Eleanor torna a vivere a Manhattan dopo una perdita devastante e — per essere vista, per esistere — racconta di essere sopravvissuta ad Auschwitz.
In conferenza stampa ha detto: “È un film sull’amicizia, sul dolore, sul perdono. E credo che siano tutte cose di cui abbiamo particolarmente bisogno oggi. È una storia ambientata nel passato, sì, ma la sento estremamente attuale”. Ha parlato della necessità di raccontare storie intime, silenziose, quelle che “non si vedono più sugli schermi americani”. Quando le è stato chiesto se avesse avuto paura a firmare un film così delicato, ha sorriso: “Certo che avevo paura. Ma sentivo di doverlo a questo personaggio. Alla sua solitudine. A tutto quel silenzio.” E Cannes ha ascoltato: sei minuti di applausi non per la regista celebre, ma per June Squibb, l’incredibile attrice 94enne che interpreta Eleanor.
Altra sala, altra atmosfera. In Vie Privée, fuori concorso, Jodie Foster interpreta una psicoterapeuta americana a Parigi, coinvolta nella morte ambigua di un suo paziente. Un film fatto di sguardi, omissioni, strappi emotivi invisibili. Ma a colpire è soprattutto la lingua: per la prima volta, Foster recita completamente in francese. “Recitare in francese mi ha dato una voce nuova. Un ritmo diverso. Quando parlo francese, divento qualcun’altra. Mi ha permesso di esplorare una parte di me che non conoscevo.”
Foster conosce il francese da decenni, ma ha sempre evitato ruoli principali in quella lingua. “Per mancanza di fiducia”, ha ammesso. Stavolta, invece, ha detto sì. Non solo per la parte: “Mi sento più libera in Europa. Qui l’industria rispetta di più i registi rispetto al mercato. E come donna, soprattutto come donna sopra i sessant’anni, non sono invisibile. Mi cercano ancora. Mi ascoltano.”
Ha detto di sentirsi finalmente padrona del proprio tempo: i figli sono cresciuti, la vita americana è lontana. In Francia, Foster ha trovato uno spazio creativo e umano che Hollywood non offre più. “Negli Stati Uniti tutto deve rientrare in una categoria. Thriller. Commedia. Romantico. Niente può essere più cose insieme. In Francia è diverso. Il regista decide. L’opera ha diritto a essere complessa.” E poi, la frase che inchioda un intero sistema: “In America, in quarant’anni di carriera, ho lavorato con pochissime registe donne. Qui in Europa, è normale. È parte della tradizione”.