Lea Massari è morta a Roma a novantuno anni. Negli Stati Uniti il suo nome non appartiene al pantheon popolare del cinema italiano, ma chi ha visto Cristo si è fermato ad Eboli (Christ Stopped at Eboli) – presentato al Film Forum di New York in due occasioni: nel 1980 in pellicola 35 mm, e poi in una versione restaurata in 4K nell’aprile 2019 – difficilmente l’ha dimenticata. Quel film, diretto da Francesco Rosi, ha contribuito più di altri a far conoscere la sua recitazione rigorosa e trattenuta anche al pubblico americano più attento al cinema d’autore.
Nata nel 1933 con il nome di Anna Maria Massetani, era cresciuta tra la Capitale, la Svizzera e la Francia. Aveva iniziato a studiare architettura, ma fu l’interesse per il cinema a imporsi con decisione. Scelse il nome d’arte, Lea, in seguito alla morte del fidanzato Leo, scomparso in un incidente stradale pochi giorni prima delle nozze.

Crediti: Maxima Film, Lux Film, Galatea – immagine via Wikimedia Commons
Il debutto sul set avviene nel 1954 con Proibito di Mario Monicelli. Lui la nota e le assegna la parte di Agnese, giovane ribelle in un villaggio sardo. Da allora, Lea Massari si muove nel cinema italiano seguendo una traiettoria laterale: mai pienamente assimilata al sistema, spesso scelta proprio per ciò che la rendeva distante dai modelli dominanti.
Dopo Monicelli arrivano Antonioni, Risi, Zurlini, i fratelli Taviani. Quando viene scritturata per L’avventura di Antonioni, nel 1960, è il suo volto — che scompare — a rendere visibile l’idea che il cinema possa fondarsi anche sul vuoto, sull’ambiguità, sull’assenza. Il film la consacra come interprete di una femminilità non riconciliata, fuori da ogni schema. In Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi interpreta Luisa Levi, sorella del protagonista. Il suo è un ruolo secondario, ma funzionale al racconto. Porta in scena uno sguardo distante, razionale, che fatica a orientarsi in un contesto segnato da povertà e immobilismo.

Screenshot tratto dal film, pubblico dominio. Crediti: Documento Film – via Wikimedia Commons
Mentre in Italia resta ai margini rispetto al divismo femminile dominante, è la Francia a riconoscerne con maggiore coerenza il valore. Lavora con Claude Sautet, Louis Malle, René Clément, Pierre Granier-Deferre. In Soffio al cuore, Malle le offre un ruolo particolarmente complesso, quello di una madre che oltrepassa un confine incestuoso. Il film viene criticato, contestato, persino sequestrato in Italia, ma in Francia ottiene premi e riconoscimenti.
Negli anni Sessanta e Settanta si divide tra cinema e televisione. È Rosetta nel primo Rugantino teatrale, accanto a Nino Manfredi. In televisione interpreta la Monaca di Monza, Anna Karenina e la madre in I fratelli Karamazov. Riceve due Nastri d’Argento e un David di Donatello, ma continua a restare defilata rispetto al sistema dello spettacolo italiano.
Negli anni Ottanta gira Viaggio d’amore con Omar Sharif e, poco dopo, decide di interrompere la propria carriera. Rifiuta proposte da Federico Fellini e, più tardi, anche da Ferzan Özpetek. Si trasferisce in Sardegna con il marito, l’ex pilota Carlo Bianchini, e dopo il divorzio fa ritorno a Roma. Da quel momento in poi non cerca più visibilità: non partecipa a eventi pubblici, non interviene su questioni legate al cinema e non concede interviste. La sua uscita di scena è netta, coerente, definitiva.