Al Taormina Film Festival, Sandy Powell – una delle costumiste più autorevoli del cinema contemporaneo, tre volte premio Oscar – ha preso parte al panel “Le Donne, non le Dive – Identità femminili tra forza e verità”. Accanto a attrici, artiste e dirigenti del settore, ha affrontato un tema che attraversa l’industria cinematografica in profondità: la distanza, ancora marcata, tra chi crea e chi decide. “La vera questione è arrivare a un equilibrio tra uomini e donne nel cinema», ha affermato. «E al momento, quel bilanciamento è ancora molto lontano”.
Powell è tra le costumiste più riconosciute del settore. Ha lavorato con registi come Martin Scorsese (Gangs of New York, The Irishman), Todd Haynes (Carol, Velvet Goldmine) e Sally Potter (Orlando). Ha ricevuto 15 nomination agli Oscar e ne ha vinti tre, per Shakespeare in Love, The Aviator e The Young Victoria. Ma non ha parlato di premi. Ha raccontato invece quando ha capito cosa voleva fare: dopo aver visto Morte a Venezia di Visconti, con i costumi di Piero Tosi “È stato il momento in cui ho capito che quello era un lavoro. E che volevo farlo”.

Parla dell’Italia come di un’origine, non mitizzata ma reale. «Molti dei miei film preferiti sono ambientati in Italia o diretti da registi italiani. Fellini, Bertolucci… sempre accompagnati da designer straordinari. E poi la moda italiana: è sempre stata importante per me. Mi interessa la moda ovunque, ma quella italiana ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore”.
In questo senso, la sua presenza a Taormina ha il sapore di un ritorno simbolico. «Sono felice e orgogliosa di essere qui, in un festival che celebra le donne e il loro ruolo nel cinema. È un tema che sento mio, naturalmente, anche per esperienza personale. Penso che oggi l’urgenza sia capire come si può andare avanti. Come si può cambiare. Per questo siamo qui: per parlarne, confrontarci, pensare insieme».
Powell fa parte anche della giuria internazionale di questa 71ª edizione, presieduta da Da’Vine Joy Randolph. Ma il suo intervento non ha assunto il tono di chi siede su un piedistallo. Anzi. La sua lucidità è stata tutta dentro l’esperienza: dietro la macchina da presa, accanto ai registi, dentro i set. Lì dove si lavora e, spesso, si tace. E invece lei ha scelto di parlare.
Non si è trattato di un intervento isolato, ma di un pezzo di un discorso più grande, condiviso con chi, da posizioni diverse, prova a smontare l’idea che il cinema sia uno spazio già definito, al quale bisogna solo adattarsi. Sandy Powell ha ricordato che esistono ancora margini da riscrivere. Ma vanno riconosciuti, presi sul serio, trasformati in possibilità.