L’82ª Mostra del Cinema di Venezia, in programma dal 27 agosto al 6 settembre, conferirà il Leone d’Oro alla carriera a Kim Novak. Attrice di culto, ha recitato in film come Baciami, stupido di Billy Wilder, Picnic di Joshua Logan, L’uomo dal braccio d’oro e Incantesimo (Bell, Book and Candle) di Richard Quine. Tuttavia, il suo nome resta indissolubilmente legato a un solo titolo: La donna che visse due volte, capolavoro di Alfred Hitchcock, noto a livello internazionale come Vertigo.
Il comunicato stampa del festival la definisce una “stella emancipata” e una “ribelle nel cuore di Hollywood”. Ma forse il termine più adatto per raccontare la sua parabola artistica e umana è un altro: assenza. L’omaggio della Mostra coincide con l’anteprima mondiale del documentario Kim Novak’s Vertigo, diretto da Alexandre O. Philippe in collaborazione con l’attrice.
Oggi, a 92 anni, Kim Novak rappresenta un raro esempio di forza e autonomia in un universo dominato dalla logica dello spettacolo. Costretta a rinunciare al suo vero nome, Marilyn Pauline, perché troppo simile a quello di Marilyn Monroe, Novak lottò per mantenere almeno il cognome. In cambio, accettò di tingersi i capelli di quel biondo platino che la rese inconfondibile. Indipendente e anticonformista, fondò una propria casa di produzione e scioperò per ottenere una retribuzione più equa rispetto ai colleghi uomini.
All’apice della fama, scelse di abbandonare Hollywood. Si trasferì in Oregon, lasciò il cinema, si dedicò alla pittura, alla vita con cavalli e cani, e affiancò il marito veterinario. Non si “reinventò”, come si direbbe oggi: semplicemente, uscì di scena. La sua presenza pubblica si è via via diradata, con solo sporadiche apparizioni, spesso oggetto di scherno – come accadde agli Oscar del 2014, quando fu pubblicamente attaccata (anche da Donald Trump) per il suo aspetto. Lei rispose con una lettera aperta contro il bullismo. Ha parlato della propria salute mentale, dell’industria cinematografica, dei traumi vissuti. Ha rifiutato sia il vittimismo che la retorica della resilienza.

Il documentario Kim Novak’s Vertigo parte proprio da qui: dall’impossibilità di possedere davvero quell’immagine. Dai tentativi – del pubblico, dei registi, dei critici – di affibbiarle un’etichetta, sempre troppo stretta. E dalla lucidità con cui oggi Novak riconosce di essere stata usata, ma anche di aver permesso quell’uso. “Mi sono sempre sentita troppo vulnerabile per questo ambiente”, ha dichiarato. “A un certo punto ho capito che, se volevo salvarmi, dovevo andarmene”.
All’inizio di quest’anno, l’attrice Sydney Sweeney le ha reso omaggio sul red carpet del Met Gala. Sweeney interpreterà Novak in un nuovo film diretto da Colman Domingo, incentrato sulla relazione tra l’attrice e Sammy Davis Jr., membro del Rat Pack.
Il Leone d’Oro che riceve oggi non è un risarcimento. È il riconoscimento del posto che le spetta nella storia del cinema: quello di una donna capace di dire no, di scegliere la vita, la libertà e l’arte, pur sapendo di non essere fatta per la brutalità della fama.