Dopo Butterfly e Californie, Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman tornano a Torre Annunziata con Vittoria, terzo film consecutivo ambientato nello stesso contesto, selezionato da “Open Roads: New Italian Cinema”, in programma il 1° e il 3 giugno al Film at Lincoln Center di New York. Protagonista è Jasmine, donna con marito, tre figli maschi, un lavoro e una casa, che sente nascere un desiderio incontenibile: avere una figlia femmina. Il film nasce da un racconto intimo e si muove lungo il confine sottile tra realtà e finzione, mettendo in scena persone che interpretano la propria vita.
“Vittoria” è un film in cui i protagonisti non sono attori professionisti, ma persone reali che portano sullo schermo la loro storia. Come siete riusciti a costruire questo lavoro con loro?
«L’idea di far interpretare il film ai protagonisti reali l’avevamo fin dall’inizio» dice Alessandro Cassigoli. «Non eravamo sicuri del risultato, naturalmente. C’è stato un momento decisivo: per scrivere la sceneggiatura abbiamo fatto delle interviste, semplicemente sedendoci con loro e una piccola telecamera. In quel momento ci raccontavano una storia che era accaduta cinque anni prima, ma si vedeva, fisicamente, che le emozioni erano ancora presenti. Erano forti nella voce, nello sguardo. Ci siamo detti: “Se riescono a restituire tutto questo sul set, il film c’è”».
«Per arrivare lì abbiamo passato molto tempo con loro» aggiunge Casey Kauffman. «Senza filmare, stando semplicemente insieme. Andavamo a casa loro, parlavamo, mangiavamo insieme. Era necessario che si fidassero. Quando poi siamo arrivati alle riprese – fatte con una troupe molto piccola, camera a mano, grande libertà – erano pronti. Tranquilli. E disponibili a mettersi in gioco. Hanno dato tutto».
Quanto era scritto e quanto improvvisato?
«Molto era improvvisato» prosegue Cassigoli. «Per esempio, nella scena del litigio in camera da letto dicevamo solo: “Adesso litigate”. E loro iniziavano. Quando per noi bastava e dicevamo “stop”, loro continuavano. Erano così dentro che non volevano fermarsi. A un certo punto li abbiamo lasciati andare, finché non si è esaurita da sola».
«È successo più volte» spiega Kauffman. «In quelle scene avevano ancora qualcosa da dirsi. Usavano la messinscena anche per chiarire questioni rimaste sospese. Per questo parliamo spesso di psicodramma. La verità del film sta anche in questo».
«Per noi è stato illuminante» aggiunge Cassigoli. «Ci ha fatto capire che il cinema può servire anche a chi lo fa, non solo a chi guarda».

Avete detto che tutto è nato da una conversazione durante una pausa pranzo. Come siete arrivati a questa storia?
«Durante le riprese di Californie cercavamo una parrucchiera vera» racconta Kauffman. «La protagonista ci ha portati da Jasmine. Avevamo già girato alcune scene con lei, ma poi ci siamo conosciuti meglio. E abbiamo visto questa bambina, che non somigliava alla famiglia. Era una piccola gioia attorno a cui ruotava tutto. Jasmine ci ha raccontato la sua storia e da lì è nato il film».
Quindi si può dire che ogni film vi ha portato al successivo?
«Sì, ma non era premeditato» precisa Cassigoli. «Non c’era l’idea di una trilogia. Tutto è cominciato con Butterfly, il documentario su Irma Testa. Lì abbiamo passato tre anni. Durante una ripresa è comparsa una ragazza, entrata in scena per caso. Si chiamava Khadija. Non era importante per la scena, ma ci ha colpiti».
«È diventata la protagonista di Californie, dove si chiama Jamila» continua Kauffman. «E da lei siamo arrivati a Jasmine. È andata così: una persona ci portava a un’altra. Non era calcolato, ma non è nemmeno un caso».
Perché proprio Torre Annunziata?
«Perché è un contesto perfetto per il nostro tipo di cinema» risponde Cassigoli. «A Napoli si gira molto, ma Torre è un mondo a parte. Meno esposto, meno saturo. Le persone sono curiose, accoglienti. Se hai un budget piccolo e una troupe ridotta, hai bisogno di qualcuno che ti apra le porte. E lì lo abbiamo trovato».
«Non solo sul piano pratico» aggiunge Kauffman. «Anche a livello umano. Abbiamo incontrato persone che volevano condividere le loro vite. Che erano pronte a raccontarsi. È un mondo che per noi funziona, ci dà energia».
E adesso? Dopo tre film, che direzione prendete?
«Abbiamo un nuovo progetto» rivela Cassigoli. «Parte ancora da Torre Annunziata, ma poi per la prima volta usciamo da lì. Vediamo dove ci porta».
Un contesto internazionale? Magari legato al giornalismo di guerra, visto il passato di Casey?
«No, non sarà un fronte di guerra» risponde Kauffman. «Almeno per ora. Ma chissà. Quello che sappiamo è che vogliamo continuare con questo metodo. Lavorare con persone vere, con storie autentiche. È un approccio che ci siamo costruiti da soli, facendo».
Il prossimo film sarà ancora ibrido?
«Sarà leggermente più vicino alla finzione» spiega Cassigoli. «Ci sarà un casting, un impianto narrativo più costruito. Ma ci sarà sempre quel rapporto diretto con la realtà. È ciò che ci interessa di più».
«I tre film che abbiamo fatto sono tutti diversi» conclude Kauffman. «Anche il prossimo lo sarà. Ma il metodo è lo stesso. E ci rappresenta».