Dopo Spaccapietre, presentato a Venezia nel 2020, Gianluca e Massimiliano De Serio hanno sentito il bisogno di tornare nei luoghi delle loro origini. Un bisogno non solo creativo, ma anche viscerale, legato a un patrimonio affettivo e culturale. «All’inizio volevamo raccontare il Mediterraneo attraverso la musica», racconta Gianluca, «in un viaggio che toccasse la Francia del Sud, la Spagna, la Grecia, il Maghreb… Poi ci siamo accorti che le radici più profonde, quelle che ci interpellavano direttamente, erano molto più vicine: erano nelle terre da cui provengono i nostri genitori, la Basilicata e la Puglia». portano dentro un’eredità orale che continua a risuonare.
Massimiliano riflette su quanto questa oralità sia sempre stata al centro del loro lavoro: «La voce come espressione dell’identità, ma anche come strumento di resistenza. Abbiamo ascoltato ninne nanne ataviche, cori polifonici, lamenti funebri… tutti suoni che rischiano di scomparire». Da questa consapevolezza nasce Canone Effimero, documentario in undici “atti” sonori che attraversa l’Italia interna inseguendo canti e tracce di culture orali in via di estinzione.
Debuttato al Forum della Berlinale 2025, il film approda ora a New York nella rassegna Open Roads: New Italian Cinema, con proiezioni il 30 maggio e in replica il 5 giugno al Lincoln Center. Ma il progetto è partito molto prima, su strade secondarie, tra montagne innevate e paesi abbarbicati alla roccia. «Non più un viaggio nel Mediterraneo», spiega Massimiliano, «ma nelle zone interne d’Italia, tra borghi spopolati. Lì abbiamo trovato un patrimonio straordinario».

Le immagini, nel film, sono essenziali ma forti. I volti sembrano scolpiti nella pellicola, i gesti sono ridotti all’osso, ma carichi di senso. Gianluca precisa: «Non volevamo fare un documentario “etnografico” in senso tradizionale. Volevamo costruire un affresco, un racconto che restituisse dignità e presenza a persone e culture spesso marginalizzate. Per questo abbiamo lavorato con lunghi piani fissi, per restituire il tempo dello sguardo. Non c’è voce narrante: è il canto stesso a raccontare».
Massimiliano aggiunge che l’ispirazione viene anche dal cinema spirituale: «Penso a Pasolini, ma anche a Pedro Costa. E dal desiderio di lasciare spazio al silenzio. Il paesaggio è un altro personaggio del film: strade di campagna, neve, pietra. Ogni luogo custodisce storie legate alla grande Storia: la resistenza, le migrazioni, le ferite della guerra».
Il film è un viaggio nel tempo, ma anche un’immersione nell’Italia di oggi. «Parla di un’Italia che non si riconosce più nei centri urbani», osserva Massimiliano. «Ma nelle aree interne esiste ancora una resistenza culturale viva, viscerale. Ragazzi di 13 o 14 anni che imparano i canti dei bisnonni per riportarli in vita. È una forma di lotta contro l’omologazione».
Gianluca guarda più lontano: «In un’epoca in cui si alzano muri e si esaltano identità “pure”, questi canti ci ricordano che l’Italia – come tutta l’Europa – è un mosaico di mescolanze. La lira calabrese, per esempio, protagonista della prima parte del film, ha origini che risalgono all’Oriente. Così come i canti Arbëresh in Lucania affondano nelle migrazioni albanesi del XV secolo. L’identità è sempre stata meticcia, contaminata».
Durante il percorso, i due registi hanno affiancato alla ricerca visiva un intenso lavoro con studiosi, musicologi e abitanti. Gianluca riconosce che «non siamo musicologi, ma per raccontare questa storia abbiamo dovuto studiare tantissimo. Abbiamo collaborato con studiosi come Ilario Meandri e Nicola Scaldaferri, ma anche con gli abitanti dei luoghi, che sono stati i nostri veri maestri».
Massimiliano annuisce. «I sopralluoghi sono stati momenti cruciali. Partivamo con un’idea e tornavamo con venti nuove piste. È stato un viaggio anche umano: in molti casi si è creata una catena di contatti, una rete che ci ha condotti sempre più in profondità. È da lì che nasce la verità del film».
Il titolo, Canone Effimero, racchiude tutta la tensione tra la memoria e la perdita. «Volevamo evocare un contrasto», spiega Massimiliano. «Il “canone” richiama qualcosa di formale, stabile, codificato. “Effimero” invece parla di fragilità, di transitorietà. I canti che raccontiamo esistono solo se c’è qualcuno che li canta: sono vivi, ma possono morire in silenzio. È un’arte che si tramanda da corpo a corpo, da voce a orecchio. E in questo, ci è sembrata la più alta forma di resistenza».
E dopo questo lavoro? Cosa verrà? Gianluca sorride: «Stiamo lavorando a un film di finzione, ma tratto da una storia vera e poco conosciuta. Racconta di un ragazzo somalo che durante il fascismo viene arruolato nell’esercito coloniale italiano in Etiopia e, dopo una serie di eventi drammatici, diventa partigiano nelle Marche».
Massimiliano completa il pensiero: «La storia l’abbiamo scoperta leggendo Partigiani d’oltremare di Matteo Petracci. Abbiamo anche contattato la famiglia del protagonista, Adem. È stato ministro in Somalia, poi arrestato sotto il regime di Siad Barre, e morto a Roma. È una storia che parla di colonialismo, di rimozioni storiche, ma anche di riscatto. E come sempre, vogliamo raccontarla con rigore, umanità e una prospettiva diversa da quella dominante».