A volte la ricetta più semplice è quella che funziona meglio. Nonnas, il nuovo film di Netflix diretto da Stephen Chbosky e scritto insieme a Liz Maccie, è un piatto già noto: commedia familiare, ambientazione italo-americana, tovaglie a quadretti, liti in cucina e abbondanti porzioni di pasta.
Joe Scaravella — interpretato da Vince Vaughn — è un uomo in lutto. Dopo la perdita della madre, della nonna e della sorella, decide di affrontare il dolore tornando alle sue radici. Con l’eredità ricevuta, apre un ristorante a Staten Island e lo chiama Enoteca Maria. A cucinare non sono chef professionisti, ma nonne vere, ognuna con la propria storia, la propria voce e le mani esperte di chi ha passato una vita tra i fornelli.
Nel film, le quattro nonne protagoniste hanno nomi e volti precisi: Roberta (Lorraine Bracco), Teresa (Talia Shire), Antonella (Brenda Vaccaro) e Gia (Susan Sarandon). I loro personaggi rispondono ad archetipi ben riconoscibili: la vedova dal carattere forte, l’ex suora che ha scelto un’altra strada, la pasticcera malinconica e la parrucchiera che crede ancora nella bellezza.

Nonnas è costruito su elementi familiari. Le scenografie, i dialoghi e i gesti ricalcano una certa idea cinematografica dell’Italia: discussioni accese su chi prepara il miglior sugo, rivalità regionali, battute urlate tra pentole che bollono. Le atmosfere ricordano film come Big Night o I Soprano, in cui il cibo è sempre anche linguaggio, identità, conforto.
Il rischio di scivolare nella caricatura c’è e non viene sempre evitato. Alcune scene — come quella in cui le nonne si lanciano teste d’aglio in cucina — sembrano più costruite per divertire che per raccontare. Lo stesso vale per certi momenti emotivi, in cui il film tende a spiegare troppo quello che già si capisce, con battute come “ci si sente belle quando ci si sente viste”. I cliché non diventano mai offensivi, ma a tratti sembrano un po’ compiaciuti.
Nonnas è ispirato a un progetto reale, nato nel 2007. Joe Scaravella, dopo un periodo difficile della sua vita, aprì davvero Enoteca Maria, un piccolo ristorante da 35 coperti dove le cuoche erano nonne italiane. Con il tempo, l’iniziativa si è allargata: oggi a cucinare sono donne provenienti da tutto il mondo, ognuna con un menù diverso, una tradizione diversa, un bagaglio culturale che passa di piatto in piatto. Il film, però, resta ancorato al contesto italiano, forse per mantenere coerenza narrativa. Una scelta comprensibile, ma anche un’occasione mancata. La vera Enoteca Maria è diventata nel tempo un esperimento unico di cucina condivisa e dialogo interculturale. Avremmo voluto vedere anche questo sullo schermo.
Il finale è prevedibile: dopo le difficoltà, il ristorante ottiene il riconoscimento che merita. Joe ritrova un senso, la sala si riempie, le nonne si riconoscono a vicenda nel lavoro che svolgono. È una chiusura rassicurante, ma in linea con il tono del film, che non ha mai cercato di sorprendere.
Il vero merito di Nonnas è dare spazio a un tipo di personaggio quasi assente dal cinema: donne anziane, non definite solo dal loro ruolo familiare, ma attive, combattive, piene di energia e voce. Sono loro il vero cuore del film. Non solo per ciò che cucinano, ma per ciò che rappresentano.
Scaravella, ancora oggi, gestisce il ristorante come all’inizio: niente prenotazioni online, niente app, niente consegne a domicilio. Solo un numero di telefono, una lista scritta a mano, e una cucina dove la memoria è l’ingrediente principale. In un’intervista, ha detto: “Ogni volta che il cibo sta in una scatola, perde qualcosa”. È una frase semplice, come il film. Ma forse è anche ciò che resta, una volta che i titoli di coda scorrono.