Uscito negli Stati Uniti il 18 aprile e in Italia il 15 aprile, Sinners (Peccatori. il titolo in italiano) segna per Ryan Coogler una netta rottura con le costrizioni del cinema industriale. firmando un film stratificato, feroce e, in alcuni momenti, volutamente disordinato. Un’opera che tiene insieme gotico sudista, horror sociale, musical blues e critica politica con un’energia rara.
Ambientato nel Mississippi del 1932, in piena era Jim Crow, il film racconta il ritorno in città dei gemelli Smoke e Stack, ex gangster al servizio di Al Capone e veterani di guerra, entrambi interpretati da Michael B. Jordan, due personaggi identici nell’aspetto ma opposti nell’animo. Il loro progetto è chiaro: trasformare un vecchio mulino in un juke joint, un locale notturno per la comunità nera, uno spazio di musica, alcol e libertà, lontano dallo sguardo opprimente dei bianchi. Con loro c’è il giovane cugino Sammie, bluesman alle prime armi e figlio di un pastore, interpretato da Miles Caton, autentica rivelazione del film.
La prima parte del film segue i ritmi lenti di un dramma comunitario: Coogler introduce i personaggi con calma, lasciando emergere gradualmente le tensioni sociali. E’ chiaro che qualcosa sta per accadere, ma Coogler non ha fretta, rallenta il tempo per mostrare cosa significhi, davvero, costruire uno spazio nero di autonomia in un’America che quell’autonomia non l’ha mai tollerata.
La svolta arriva durante la serata inaugurale del Club Juke, quando tre musicisti bianchi bussano alla porta. Con loro c’è Mary (Hailee Steinfeld), ex di Stack e unica donna bianca nel locale. La tensione è immediata: nel Mississippi del 1932, dire no a un bianco è pericoloso, ma farli entrare lo è ancora di più — perché non sono semplici ospiti, sono vampiri.

A partire da questo momento, il film abbandona i confini del genere per trasformarsi in un’allegoria politica lucida e inquieta. Il vampiro, in Sinners, non è soltanto una creatura affamata di sangue, ma una figura che incarna il potere che assorbe e cancella. Remmick (Jack O’Connell), ex immigrato irlandese trasformato in vampiro, propone un’illusoria fratellanza interrazziale nell’aldilà, una comunità meticcia che, invece di liberare, ingloba, assimila, neutralizza ogni differenza. Il riferimento all’appropriazione culturale è esplicito: Remmick non desidera soltanto il corpo dei neri, ma la loro musica, la loro forza creativa, la loro energia vitale — vuole farli propri, replicarli, sfruttarli, senza riconoscerne il valore e senza mai restituire nulla.
Ma Sinners è anche una riflessione tagliente sul ruolo della religione come strumento di controllo e freno all’emancipazione nera. Sammie, “il figlio del pastore”, cresciuto nel timore del peccato, trova la sua libertà solo quando accetta la musica come verità. pur sapendo che la voce del padre continuerà a chiamarlo “peccatore”. In questo senso, il titolo del film non è una provocazione: i veri peccatori sono coloro che rifiutano la sottomissione e scelgono di vivere, anche quando la morte li segue da vicino.
Girato in 70mm, Sinners punta in alto anche sul piano visivo, alternando IMAX e Ultra Panavision per marcare i passaggi di scala e intensità nella storia. La colonna sonora di Ludwig Göransson, costruita attorno al blues di Sammie, regge l’atmosfera con coerenza, per poi spingersi verso sonorità più teatrali e disturbanti quando entra in scena Remmick. Nel finale, però, il film si sbilancia: la narrazione accelera bruscamente, alcuni personaggi vengono messi da parte in modo sbrigativo e la tensione si dissolve troppo in fretta. Nonostante questo, Sinners resta un film che funziona proprio perché non si preoccupa di essere perfetto.