Dopo la morte della moglie Carolyn nel 2017, David Cronenberg ha iniziato a interrogarsi su come la tecnologia possa diventare una lente attraverso cui osservare — e forse trattenere — ciò che inevitabilmente sfugge: la persona amata, la presenza perduta, la memoria che si sfibra. The Shrouds – Segreti Sepolti, presentato in concorso al Festival di Cannes e in uscita nelle sale italiane il 3 aprile (e negli Stati Uniti il 18 aprile), nasce da questa riflessione privata e dolorosa. Il protagonista, Karsh, interpretato da Vincent Cassel, è un imprenditore che ha perso la moglie Becca, interpretata da Diane Kruger. In risposta, sviluppa GraveTech, una tecnologia che permette di osservare da remoto il defunto, avvolto in un sudario e sistemato all’interno della bara.
La parola shroud, in inglese, significa “sudario”, ma anche “velo”, “copertura”. Cronenberg si diverte a rovesciare questa semantica. Qui il sudario non nasconde: è una lente trasparente che trasforma la morte in spettacolo, o forse in preghiera silenziosa. Il corpo morto, mostrato senza violenza ma senza pudore, è il protagonista muto di questo teatro ipertecnologico.
Cronenberg, ateo dichiarato, non cerca consolazioni metafisiche. Nessun aldilà, nessun fantasma. Solo la materia, la carne, ciò che resta. Eppure, anche in questa visione spogliata di trascendenza, affiora una forma sottile di tenerezza. Karsh non vuole negare la morte: vuole solo trattenerla un po’ più a lungo. Come chi custodisce una maglia in un armadio o riascolta una voce su una vecchia segreteria telefonica.

La macchina che ha creato non ha nulla di fantascientifico: è una protesi del desiderio. E, in fondo, ricorda un’altra macchina — il cinema. Anche questo, in qualche modo, ci permette di guardare i morti. Vediamo attori scomparsi da decenni, li ascoltiamo parlare, ridere, piangere. Come disse Peter Bogdanovich: “Movies are the closest thing we have to time travel. We watch people who are long gone, alive again”.
Ma l’elaborazione del lutto, qui, scivola nella paranoia. Il dolore si incrina in sospetto. Qualcuno profana la tomba di Becca. Qualcuno — o qualcosa — forza i confini della tecnologia e della memoria. The Shrouds prende la forma di una deriva interiore, dove ciò che si cerca non è una verità oggettiva, ma un appiglio contro il vuoto. Perché, come ci ricorda Cronenberg, “è più facile credere a un complotto che accettare l’assenza di senso”. È proprio in questa ambiguità che il film rivela la sua natura: The Shrouds non è un horror, né un thriller nel senso tradizionale. Diane Kruger interpreta tre personaggi, come se il dolore avesse più volti. Vincent Cassel è un uomo solo, circondato da dispositivi e immagini, incapace di lasciar andare. Tutto ruota attorno a una mancanza che non vuole farsi silenzio.
C’è anche una leggerezza inaspettata. Non ironia da black comedy, non sarcasmo. Ma una sorta di sorriso obliquo, come quello di un uomo che guarda la tragedia con la lucidità dell’esperienza. Cronenberg confessa che non gli dispiacerebbe vedere un giorno il film classificato nella sezione “commedie romantiche”. Ed è difficile dargli torto. The Shrouds è, in fondo, la storia di un uomo che non riesce a smettere di amare.