La mafia americana non fa più paura. Non seduce. È un mondo al tramonto, e The Alto Knights – uscito negli Stati Uniti il 19 marzo e in Italia il giorno dopo – lo racconta con il distacco di un referto post mortem. Diretto da Barry Levinson e scritto da Nicolas Pileggi, il film mette al centro un Robert De Niro in doppia veste: Frank Costello e Vito Genovese, due boss storici, legati da un passato comune e divisi da un presente irreparabile.
Siamo alla fine degli anni Cinquanta. Gli Stati Uniti si stanno trasformando. La criminalità organizzata è ancora solida, ramificata, quasi istituzionale. Ma qualcosa si è incrinato. Costello è stanco, ha capito che si può anche smettere, forse. Genovese no. Per lui smettere significa essere già morti. La loro amicizia è finita da tempo, e ora si scruta da lontano. Un attentato fallito segna il punto di non ritorno.
Pileggi, che aveva firmato Quei bravi ragazzi e Casinò, con The Alto Knights sceglie una strada più essenziale, spogliata di ogni eccesso. Il film racconta la frattura tra due modi opposti di intendere il crimine ma anche il risveglio lento e confuso dell’FBI, che comincia a capire che la mafia non è una serie di bande, ma una rete che passa per gli uffici pubblici, le banche, i tribunali. Attorno a Frank e Vito ci sono donne, famiglie, complici. Ma sono figure di sfondo. Debra Messing, che interpreta la moglie di Costello, resta ai margini. Una promessa di vita normale che non si realizza mai. Perché nessuno esce davvero, se non a caro prezzo.
È un film che si guarda con una certa indulgenza e forse anche con un po’ di affetto, perché sa di non poter essere grande, ma prova comunque a chiudere un’epoca. Lo fa senza clamore. Con onestà. Senza mitizzare. E in questo, paradossalmente, è più onesto di tanti altri.