Con una carriera che ha trasformato eventi reali in storie memorabili – dal dramma spaziale di Apollo 13 alla straordinaria resilienza del pilota Niki Lauda in Rush – Ron Howard si avventura in territori inediti con Eden. Il film, scelto per aprire la 42ª edizione del Torino Film Festival (22-30 novembre), segna una svolta per il regista, spesso considerato un impeccabile artigiano più che un audace visionario. “In passato, mi sono trovato molte volte a lavorare con il peso di dover accontentare un pubblico vasto”, ha rivelato il regista. Con Eden, ho potuto sperimentare, rischiare. È stato liberatorio”.
Il film si basa su una storia vera ambientata negli anni ’30 nelle selvagge isole Galápagos. Qui, tre gruppi di europei tentano di creare una nuova vita sull’isola disabitata di Floreana, ma le loro aspirazioni si trasformano presto in una spirale di conflitti e tragedie. La narrazione segue il filosofo tedesco Friedrich Ritter (Jude Law) e la sua compagna Dore Strauch (Vanessa Kirby), che fuggono dalla Germania nazista per vivere secondo i loro ideali. Friedrich immagina un paradiso tropicale dove dare forma a un laboratorio filosofico, ma la loro utopia viene ben presto sconvolta dall’arrivo della famiglia Wittmer (Daniel Brühl e Sydney Sweeney) e della manipolatrice Baronessa Eloise von Wagner Bosquet (Ana de Armas), accompagnata da due amanti.
La baronessa, una donna frivola e ambiziosa, con una visione distorta della realtà, arriva sull’isola con il sogno di costruire un resort di lusso. La sua presenza accende i conflitti latenti, costringendo gli altri personaggi a confrontarsi con le proprie debolezze e ossessioni. I Wittmer, relegati in una parte sterile dell’isola, si trovano intrappolati tra il moralismo inflessibile di Friedrich e il caos rappresentato dalla Baronessa. Questo scontro di personalità e valori culmina in un’escalation di tensioni e violenza, trasformando la presunta utopia in un incubo collettivo.
“La storia mi ha affascinato per anni”, ha dichiarato Howard. “C’è qualcosa di classico e tragico nei loro percorsi, un intreccio di sopravvivenza, fragilità e fallimenti umani che trovo profondamente universale. In un certo senso, è una storia senza tempo, in cui le scelte dei personaggi riecheggiano dilemmi morali che affrontiamo ancora oggi”.
Eden si apre con registrazioni audio di Hitler e didascalie che contestualizzano l’ascesa del fascismo. Questo incipit, potente e spiazzante, introduce lo spettatore al tema della fuga dalla civiltà per inseguire ideali di purezza e libertà. Tuttavia, man mano che le relazioni tra i personaggi si complicano, il film si rivela un’amara riflessione sull’impossibilità di sfuggire alla natura umana. Spiega Howard: “In molti modi, questa storia parla della follia di credere che possiamo semplicemente scappare dai problemi della società e ricominciare da zero. Non possiamo scappare da noi stessi senza affrontare i nostri demoni interiori. E, in un momento storico come questo, dove la nostra società è sempre più destabilizzata, questa tematica mi sembra più rilevante che mai”.

Sull’isola, le sofisticate teorie di Nietzsche e Wilde si infrangono contro la crudele e inesorabile realtà della natura umana. Un paradiso apparentemente idilliaco si rivela un inferno nascosto sotto veli di nebbia e colori sbiaditi, dove anche i dettagli più innocenti – animali che osservano silenziosi, paesaggi desolati, carcasse dimenticate – diventano metafore di una disumanità crescente. “L’isola è un personaggio,” spiega Howard. “All’inizio ti seduce con la sua bellezza, ma presto ti rivela tutta la sua ostilità, Le idee crollano una dopo l’altra, divorate dal bisogno primordiale di sopravvivere”.
Nonostante la cupezza del film, Howard si dice ottimista sul futuro. “La vera forza risiede nella capacità di credere nel domani, di costruire connessioni e sostenersi a vicenda. Eden è una storia di sconfitte, ma anche di resilienza. Se c’è un messaggio, è che dobbiamo guardare l’uno verso l’altro, non verso soluzioni rapide o fughe impossibili”.