Il documentario Cutro Calabria Italia, diretto da Mimmo Calopresti, nasce da un’esperienza che ha segnato profondamente il regista e la comunità calabrese. “Ormai siamo abituati a vedere le barche che arrivano sulle nostre coste”, racconta il regista, “ma nel caso di Cutro, c’era qualcosa di diverso, di eccezionale. Per la prima volta ho visto i calabresi mobilitarsi in un modo straordinario. Forse è stato il vedere quei bambini sulla spiaggia, forse la forza devastante della tragedia. Così mi sono chiesto: perché non raccontare questa solidarietà, questa umanità verso persone che si trovano in una situazione disperata?”
L’episodio che ha ispirato il film è il naufragio del caicco Summer Love avvenuto tra il 25 e il 26 febbraio 2023 nelle acque di Steccato di Cutro. Partita da Izmir, in Turchia, con oltre 180 persone a bordo, l’imbarcazione si è schiantata contro una secca, naufragando a pochi passi dalla riva. Nelle acque del Mediterraneo hanno perso la vita 94 migranti, tra cui 34 bambini. Quella tragedia è stata ampiamente riportata dai media – spingendo persino il presidente della Repubblica fino a Cutro a rendere omaggio ai feretri delle vittime – eppure è solo stata più visibile rispetto a tante altre che si consumano in mare aperto lontano dalle telecamere.

Mimmo Calopresti affronta la tragedia con gli occhi pieni di immagini indelebili: la spiaggia deserta coperta da teli bianchi, le autorità che sfilano nel silenzio della notte, e le voci dei familiari che si disperano in lingue diverse. Il regista non si accontenta di osservare: parte alla ricerca, interroga, si scontra con dubbi e incertezze, ritorna sui suoi passi. Incontra persone, stringe mani, si lascia travolgere dai ricordi e dalle storie.
“Spesso queste morti vengono rappresentate come una massa indistinta, ma dietro ci sono racconti personali, vite piene di speranza. Molti di loro avevano un lavoro, una professione, una famiglia. Hanno lasciato tutto per cercare un rifugio dal riscaldamento globale, dalla guerra, dalla povertà, dalle persecuzioni religiose. Alcuni di loro volevano nemmeno rimanere in Italia. Per loro, il nostro paese è solo una porta d’ingresso verso l’Europa, non la destinazione finale”.
Una delle motivazioni che ha guidato il regista è stato il profondo legame con Pier Paolo Pasolini, che già nel 1964 aveva scelto Cutro come location per Il Vangelo secondo Matteo. “Pasolini aveva già intuito tutto questo. Da anni desideravo fare un documentario su di lui e sul suo lavoro a Cutro, e così ho deciso di unire le due cose: il cinema, la tragedia del naufragio e il racconto di una realtà che va oltre i titoli di cronaca”.
Calopresti coglie tutto il paradosso della migrazione in Italia, un Paese dove le scuole si svuotano e i giovani emigrano, mentre molti migranti sarebbero disposti a stabilirsi, a lavorare la terra, a costruire nuove comunità. L’esempio di Riace, dove Mimmo Lucano era riuscito a far rifiorire un piccolo borgo grazie all’integrazione dei migranti, diventa un emblema di ciò che potrebbe essere fatto se solo si abbracciasse questa realtà con lungimiranza.
Il senso di colpa è una presenza che attraversa tutto il film, e lo stesso regista ne porta il peso, Persino i soccorritori, protagonisti loro malgrado, esprimono un senso di colpa per il solo fatto di essere sopravvissuti. Il loro incontro ravvicinato con i naufraghi ha aperto un varco di consapevolezza: la coscienza della comune umanità e del diritto universale a una vita dignitosa. “Ogni tanto il cinema serve davvero a qualcosa,” riflette il regista. “Questo film ha suscitato grande interesse, e la Rai lo trasmetterà il 3 ottobre, nella decima Giornata della Memoria e dell’Accoglienza, istituita dopo il drammatico naufragio di Lampedusa nel 2013”.
Calopresti non risparmia critiche a una politica sempre più distante dalla vita reale, che non offre soluzioni concrete ai problemi dell’immigrazione. “L’Europa lascia l’Italia da sola, e i nostri politici, di qualsiasi schieramento, non riescono a trovare soluzioni efficaci”. Eppure, il regista non perde la fiducia nella forza della speranza e della solidarietà. Nel documentario un pescatore con amara rassegnazione, riflette: “Ogni volta che vediamo una barca all’orizzonte, non sappiamo se sarà una giornata di pesca o di salvataggio.” Questa incertezza, questo limbo tra vita e morte, è qualcosa che Pasolini aveva già compreso profondamente. “Il Mediterraneo continuerà a essere solcato da barche cariche di vite sospese tra passato e futuro,” conclude Calopresti, “e l’unico modo per affrontare questa realtà è con umanità”.