Sono passati 25 anni dal capolavoro del regista M. Night Shyamalan, Il Sesto Senso, uno dei maggiori successi del 1999, con sei candidature agli Oscar, incluso quello per miglior film (cosa rara per horror). Ma, probabilmente, l’impatto più duraturo del film — ancora più della famosa frase “Vedo la gente morte” del piccolo protagonista —, è stato quello di far conoscere al pubblico moderno la bellezza e la complessità di un colpo di scena finale perfettamente eseguito.
C’erano già stati colpi di scena memorabili nel cinema, come ne Il pianeta delle scimmie, quando Charlton Heston, entrato nella zona proibita, si imbatte nella testa della Statua della Libertà che spunta dal bagnasciuga. Ma con Il sesto Senso, Shyamalan era stato capace di portare questo concetto a un livello superiore, segnando per sempre la sua carriera e instillando nel pubblico l’attesa spasmodica di un finale sorprendente in ogni suo film, e non solo.
Prima del 1999, il regista indiano di nascita e statunitense d’adozione era uno dei tanti giovani autori che cercavano di emergere in un’industria cinematografica dove non appartenere all’élite bianca non offriva molte opportunità. Poi sono arrivati successi come Unbreakable – Il predestinato, The Village e Signs, racconti intrisi di traumi infantili, paure esistenziali e angosce sociali, e Shyamalan è stato prematuramente etichettato come “il nuovo Spielberg” dalla copertina di Newsweek.

Ora con Trap, uscito negli Stati Uniti il 2 agosto e nelle sale italiane dal 7 agosto, il regista cambia le carte in tavola con un colpo di scena che arriva inaspettatamente nei primi minuti. Il film si apre con Cooper, interpretato da Josh Hartnett, che accompagna sua figlia dodicenne, Ariel Donoghue, al concerto del suo idolo, Lady Raven, interpretata da Saleka Shyamalan, figlia del regista e cantante di musica R&B. Quella che dovrebbe essere una serata speciale si trasforma presto in qualcosa di molto diverso. Cooper è infatti il serial killer noto come “Il Macellaio” e l’intero concerto è in realtà una trappola organizzata per arrestarlo. Dovrà ora trovare un modo per sfuggire alla cattura.
Hartnett, dopo l’ottima performance in Oppenheimer, riesce a bilanciare abilmente la dualità del personaggio, capace al tempo stesso di essere un premuroso padre di famiglia e un killer a sangue freddo. Tuttavia, il potenziale di un thriller che avrebbe potuto segnare una svolta per il regista, liberandolo dall’etichetta di maestro delle rivelazioni tardive e dei twist narrativi, si perde in un mare di situazioni poco credibili. La più eclatante? La caccia a un assassino in mezzo a ventimila persone, un cliché degno dei peggiori film d’azione.
Shyamalan non inventa nulla e ci consegna una storia che si muove su terreni già battuti dalle trame psicologiche di Unbreakable e Split, trascinandoci nella mente di un assassino e sfidandoci a empatizzare con lui. Ma Trap manca dell’ingegno e della precisione che hanno reso quelle opere memorabili.
I momenti migliori di Trap sono quelli in cui abbandona ogni finzione e ammette che la sua premessa è offrire un palcoscenico pop per Saleka Shyamalan, che nel film ha tutto il tempo di mettere in mostra il suo talento musicale. Lo stesso regista ha descritto il film come “Il silenzio degli innocenti incontra un concerto di Taylor Swift”.