Muoiono in tanti, tanti i feriti, i prigionieri, nella guerra dello Yom Kippur del 1973, e Golda Meir li segna tutti, giorno dopo giorno, su un taccuino. Lo fa nel film a lei intitolato Golda diretto dall’israeliano Guy Nattiv, presentato al Festival di Berlino, uscito in Usa e Israele a fine agosto, ma non ancora uscito in Italia. Chissà se lo fece veramente o è una finzione cinematografica, ma è estremamente efficace nel rivelare la sua angoscia via via che i giorni passano, 19, e le vittime aumentano. Chissà se in queste ore Netanyahu sta facendo lo stesso, chissà se come lei si tormenta e si assume la piena responsabilità di questi morti.
Allora come oggi l’attacco è arrivato inaspettato, ha colto l’esercito israeliano di sorpresa: falle nell’intelligence, e nelle valutazioni che sono costate migliaia di vite. Dopo la fine della guerra Golda Meir e il suo governo andarono a casa. La stessa cosa è possibile per l’attuale primo ministro Netanyahu.
Il film parte dalla testimonianza di Golda Meir nel 1974 alla commissione Agranat, che indagava sugli errori che avevano portato a non prevedere l’attacco. Ci sarà una commissione per Netanyahu e il suo governo?

Meir sembra esitante quando il capo del Mossad Zvi Zamir (Rotem Keinan) le dice che il nemico è pronto all’azione. Il ministro della Difesa Moshe Dayan (Rami Heuberger) sembra avere paura. E gli altri membri del governo sembrano attori di secondo piano nelle decisioni sul conflitto, dal comandante in capo delle forze militari Dado Elazar (Lior Ashkenazi) al generale dell’aeronautica Benny Peled (Ed Stoppard). Henry Kissinger (Liev Schreiber) è più preoccupato di mantenere calma l’Unione Sovietica e soprattutto di mantenere bassi i prezzi del petrolio che di andare in aiuto di Israele. “Sono prima americano, poi segretario di stato, infine ebreo” dice ad un certo punto della trattativa con Golda Meir, che gli risponde: noi qui leggiamo da destra a sinistra, ebreo prima di tutto quindi.
Ebreo non è lo sceneggiatore del film Nicholas Martin, e neppure la protagonista Helen Mirren, e questo è stato oggetto di grandi polemiche. Anche in questo caso, come in quello di Bradley Cooper che interpreta Leonard Bernstein in Maestro, all’attrice è stato applicato un naso adatto al personaggio e questo ha fatto gridare allo scandalo della stereotipizzazione degli ebrei.
Ma non è il trucco il centro del problema del film, quanto il suo mantenersi sulla superficie della storia. Un peccato che il regista abbia ecceduto in stilizzazioni che sottraggono pathos all’azione, tolgono tempo e attenzione a quelli che sarebbero potuti essere dettagli importanti dell’attacco congiunto di forze egiziane nel Sinai e siriane nel Golan, quel 6 ottobre del 1973. Nel film, magistralmente interpretato da Helen Mirren, sono troppe le pause sulle sigarette fumate con avidità, sul fumo che si alza e i portacenere che si riempiono. Sugli uccelli che volano impazziti e si affollano poi morti. Belli invece gli inserimenti di filmati dell’epoca in cui Golda Meir appare, sì una lady di ferro, ma capace di battute autoironiche che spiazzano l’egiziano Sadat negli incontri per la pace.
Un personaggio grandioso come Golda Meir che in un momento del film dice: “ah! i russi, li conosco bene, di notte papà ci nascondeva perché quando i cosacchi bevevano ammazzavano gli ebrei solo per il gusto di farlo, perché erano ebrei”. Quella ragazzina è diventata Golda Meir: come è successo? Il film non ce lo fa capire neppure lontanamente. Come non ci fa capire cosa è successo veramente in quella guerra di 50 anni fa. Preludio drammatico di oggi.
RispondiInoltra |