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La Cina non ha più bisogno di Hollywood (ma forse le cinesi sì)

Nonostante l'exploit planetario, nemmeno 'Barbie' riesce a sbancare il botteghino. Pechino non è pronta a mettere in discussione il patriarcato

Alessandra QuattrocchibyAlessandra Quattrocchi
La Cina non ha più bisogno di Hollywood (ma forse le cinesi sì)

A view shows an opened cinema in a shopping mall in Beijing, China, 13 October 2020 ANSA/EPA/WU HONG

Time: 3 mins read

Il cinema cinese ormai fa a meno di Hollywood… quasi sempre.

Barbie di Greta Gerwig, arrivato nelle sale il 21 luglio, nella prima settimana ha raccolto l’equivalente di 19,6 milioni di dollari; relativamente poco per l’enorme mercato cinese, ma il numero di cinema che lo programmano è salito da meno di 10.000 all’apertura, a 36.000 una settimana dopo: grazie alle donne che vanno in massa a vedere questo film che parla esplicitamente di “patriarcato” e fragilità maschile, in un panorama dominato da action movies, molti ormai di produzione cinese, rigorosamente con uomini protagonisti.

Innovare sembra ormai l’unica via possibile per i film statunitensi in Cina. Le difficoltà di Hollywood con il grande paese sono state descritte da Erich Schwartzel, critico cinematografico del Wall Street Journal, nel libro Red Carpet: Hollywood, China, and the Global Battle for Cultural Supremacy.

Si possono riassumere in tre passaggi storici: il richiamo di un pubblico potenziale di 1,4 miliardi di cinesi (sempre più inurbati con crescita esponenziale delle sale) ha influenzato le major a produrre pellicole adatte anche a quel mercato (film d’azione, supereroi, ma soprattutto storie prive di asperità culturali o politiche e critiche contro la dittatura cinese. Schwartzel cita ad esempio The 355 con Jessica Chastain e Penelope Cruz dove nelle ultime scene la polizia cinese irrompe a riportare l’ordine, senza alcuno scopo narrativo se non che, per il pubblico cinese, l’Autorità deve sempre esserci come garante dell’armonia sociale).

Poi, come parte degli accordi commerciali per l’ingresso dei film hollywoodiani, Pechino ha chiesto (succede anche in altri settori) la formazione dei locali al mestiere dello schermo, tanto che oggi la gran parte delle pellicole che girano in Cina sono prodotte localmente, un fenomeno aiutato dal Covid e dallo stop delle produzioni occidentali. Infine, ormai il cinema cinese potrebbe anche partire alla conquista del mondo… sebbene, come Bollywood, i suoi temi e una certa mancanza di sofisticazione rendano improbabile un massiccio ingresso in Occidente, il mercato interno basta e avanza a farne un affare lucroso.

Prendiamo ad esempio, dice Schwartzel, le produzioni nate nella democratica Corea del Sud che hanno sbancato il mondo e anche la smaliziata Europa, con film come Parasite e serie come Squid Game: sarebbero troppo eversive e troppo politiche per il pubblico cinese. Però, la Cina ha cominciato a produrre anche serie con storie di famiglia, vicende quotidiane, amori di tutti i giorni, e queste vanno forte, per esempio, in Kenya e verosimilmente in altriPpaesi africani (in genere chi dice “la Cina si compra l’Africa” pensa a ponti, strade e impianti energetici, ma proprio l’esempio del cinema USA in Europa insegna che il colonialismo culturale porta giganteschi ricavi su vari fronti).

Resta un dubbio: ma Barbie come avrà fatto a sconfiggere la censura cinese, che ovviamente esiste ed è molto occhiuta? Per esempio: la stampa cinese ha esaltato come un’eroina nazionale la regista Chloé Zhao, (nata nel 1982 in Cina, ma trapiantata a Londra a 15 anni), vincitrice di numerosi premi, fra cui l’Oscar al miglior film e alla miglior regia con Nomadland, uscito nel 2021. Poi però è riemersa un’intervista in cui Zhao diceva che crescere in Cina aveva significato essere circondata da bugie. Apriti cielo: pochi mesi dopo, il suo debutto nel Marvel Cinematic Universe con Eternals in Cina non è mai arrivato.

Barbie (ph: ANSA)

La Cina non è un paese pronto a mettere in discussione il patriarcato; l’ultimo Politburo annunciato lo scorso ottobre è composto da sei uomini attorno al presidente Xi Jinping. Ma la Mattel (coproduttore di Barbie il film) in Cina ha molti affari, fra cui la produzione materiale della maggioranza delle bambole in fabbriche in comproprietà con investitori cinesi. Aggiungiamo che una scena in particolare ha portato il Vietnam a bandire il film, perché in una carta geografica i confini fra Vietnam e Cina erano quelli ritenuti validi da Pechino e non da Hanoi.

In una ipotesi più ottimistica, possiamo pensare che forse Barbie, con la sua ingannevole patina rosea, sia volata sotto i radar della censura. Vedremo se le cinesi porteranno Margot Robbie più in alto di Tom Cruise che con Mission: Impossible – Dead Reckoning Part One, uscito una settimana prima, ha raccolto per ora 40 milioni di dollari.

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Alessandra Quattrocchi

Alessandra Quattrocchi

Giornalista e scrittrice, si occupa di politica nazionale e internazionale, cultura, società lingua e letteratura Alessandra Quattrocchi is a journalist, essayist, videomaker and storyteller. She deals mainly in politics, literature and the arts.

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