Rosa: ovunque, e vestitini estivi. Signore e signorine e ragazzine all’anteprima per la stampa da
Roma di Barbie, il film di Greta Gerwig (coprodotto dalla Mattel con la Warner Bros e, fra gli altri,
l’attrice protagonista Margot Robbie, biondissima e perfetta). I dettagli rosa shocking del pubblico
in sala (una giacca, un paio di sandali, una borsa, una camicia…) indicano la passione che le ragazze
di ieri e di oggi hanno e hanno avuto per le mille incarnazioni della bambola che qui diventa
simbolo della lotta al “patriarcato”; senza mezzi termini, è una delle parole più nominate nella
seconda metà del film. (Del resto, i tempi cambiano: The Space Cinema Moderno di piazza della
Repubblica sede della proiezione, oggi multisala, un tempo era un celebre cinema porno della
capitale).
Pellicola spettacolare, con il set di Barbieland (fra scivoli, ville dei sogni, motoscafi e macchine, i
diecimila accessori propinati alle bimbe) costruito interamente a mano, altro che intelligenza
artificiale. Un po’ lunga: due ore riempite a volte a forza con scene da action movie, superfetazioni
e spinoff. Tuttavia, Barbie sarà difficile da scordare.
Vediamo di non fare troppi spoiler. A Barbieland comandano le donne, o meglio le Barbie (si
chiamano tutte Barbie, dalla tradizionale bionda che è la nostra eroina, alla Barbie presidente – in
una Casa Rosa – alle magistrate della Corte suprema alla giornalista all’astronauta alla spazzina
ecce cc con tutte le bambole di ogni colore che la Mattel si è inventata nei decenni), e gli uomini, o
meglio i Ken, esistono solo come ‘fidanzato di’. Vivono felici fra balli e scherzi, cibo e amore (ma il
mare è finto, di plastica, il cartone del latte è vuoto, e il sesso non esiste, come del resto i genitali).
La nostra Barbie (Margot Robbie) però accusa dei malesseri, strani pensieri di morte, e, orrore, un
sintomo fisico: perde la caratteristica delle Barbie, vivere in punta di piedi, e si ritrova coi piedi
piatti (cioè normali), cosa molto molto scomoda se si posseggono solo scarpe con il tacco. Quindi –
la farò breve – Barbie si sposta nel Mondo Reale per cercare chi le trasmette queste ansie. Il suo
Ken (Ryan Gosling) la convince a portarlo con lei.
Solo che nel Mondo Reale, dove il cda di Mattel è tutto di uomini, Barbie e Ken scoprono (lei con
costernazione, lui con giubilo) che le donne comandano solo a Barbieland mentre quando si fa per
davvero, gli unici che contano qualcosa sono i maschi. Una verità che Ken si affretta a riportare a
casa, mentre Barbie si occupa di rintracciare la madre e la figlia in conflitto che l’avevano resa
triste a sua volta, e poi torna a Barbieland inseguita dall’intero consiglio di amministrazione di
Mattel, e poi si occupa di riscattare tutte le Barbie cadute preda del patriarcato, e poi… e poi
succedono un sacco di cose, quali più interessanti e quali meno, ma sempre visivamente gioiose,
fino alla conclusione – che lascia peraltro un dubbio: forse anche le donne – pardon, le Barbie –
preferiscono comandare che condividere inclusivamente il potere. Di sicuro, scopriamo che
preferiscono le Birkenstock ai tacchi alti nel momento in cui perdono il potere magico di vivere
sulle punte.

Ovviamente il set è popolato di attrici e attori (molti di un certo rilievo, da America Ferrera a Michael Cera, come Allen, lo sventurato amico di Ken fuori produzione; e ancora ben tre visi noti
dalla serie tv inglese Sex Education, Emma Mackay, Ncuti Gatwa e Connor Swindells). Barbie ha un messaggio da trasmettere, e oltre che lungo, appare alla fine didascalico.
Almeno finché non ci si rende conto che non mira a un pubblico di critici cinematografici un po’ blasé, ma,
verosimilmente, alle ragazzine, quelle che ancora oggi comprano Barbie a tutto spiano; e forse le ragazzine hanno bisogno di messaggi elementari, ben segnalati, non di raffinati sottintesi.
Che Gerwig sia capace di sottointesi lo sappiamo per esempio dal suo penultimo film, quel Piccole
Donne, ennesima trasposizione dei romanzi di Louisa May Alcott, in cui la protagonista Jo diventava l’alter ego della scrittrice e rivelava la sua anima più pura, quella dell’autrice che non arretra di fronte a nulla pur di farsi pubblicare (e pagare), anche se significa stravolgere il finale e far zuccherosamente sposare la sua eroina.
Con Barbie, Gerwig si lancia in un mondo completamente diverso, con una piega fantasy a cui
sembra aver preso gusto. Negli ultimi giorni i social stanno impazzendo di critiche per un prossimo
film musicale (coprodotto con la Disney peraltro) di cui ha scritto la sceneggiatura, dedicato a…
Biancaneve. Se ne sa ben poco, salvo per alcune foto di scena da cui si evince che Biancaneve non
ha la pelle candida dell’eroina originaria di Walt Disney (l’attrice è Rachel Zegler, già Maria nel
remake di West Side Story di Steven Spielberg) e che i nani non sono tali (semmai un gruppetto di
uomini diversamente alti); pare che non ci sia nemmeno il principe azzurro, o eresia, magari
Biancaneve si salva da sola.
Apriti cielo: piovono le polemiche sui sogni infantili distrutti, sul politically correct che mette le sue manacce anche sulle favole. Si potrebbe obbiettare sia che la favola ha conosciuto molte versioni, sia che proprio rivisitare i capolavori dell’infanzia è un buon modo per mettere in luce gli stereotipi con cui siamo cresciuti (e in cui siamo immersi). O almeno, invitare prima a vederlo, il film in questione. È diretto da Marc Webb e previsto per metà 2024.