La notizia è di quelle clamorose: per la prima volta dal lontano 1960, il sindacato che rappresenta 160 mila iscritti ha votato all’unanimità dopo che è fallito il tentativo di un accordo in extremis con gli studios. Una protesta che si salda a quella degli sceneggiatori, che hanno incrociato le braccia a maggio per la prima volta dopo 63 anni.
È infatti scaduta infruttuosamente la deadline del 12 luglio fissata dalla Screen Actors Guild-American Federation of Television and Radio Artists (SAG-AFTRA) – ossia il sindacato degli attori – per negoziare un nuovo contratto con gli studios. E così il 98% degli iscritti al movimento è pronto a scioperare, come sta già facendo da quasi 3 mesi e per analoghi motivi il sindacato degli sceneggiatori (Writers Guild of America).
“Hollywood deve essere un luogo in cui ogni lavoratore, sullo schermo e fuori, venga trattato in base al valore delle sue capacità e dei suoi talenti”, hanno scritto in una dichiarazione congiunta i principali sindacati dell’industria cinematografica USA – ossia la International Alliance of Theatrical Stage Employees, Teamsters, Hollywood Basic Crafts, Directors Guild of America (DGA), Writers Guild of America East e Writers Guild of America West.
Bersaglio delle polemiche è l’Alliance of Motion Picture and Television Producers – che comprende più di 350 studios, network e streamer, tra cui Netflix, Disney e Amazon. Il sindacato delle case di produzione non è infatti riuscito a trovare un compromesso con i lavoratori dello spettacolo su salari, uso dell’intelligenza artificiale e altre questioni dirimenti.
Nello specifico, gli sceneggiatori chiedono che gli studios li paghino di più, asserendo che il passaggio allo streaming abbia cambiato il modo in cui gli spettacoli vengono realizzati e monetizzati.
La posta in gioco è altissima. L’ultima volta che gli sceneggiatori avevano incrociato le braccia risale al 2007-2008, in uno sciopero durato complessivamente 100 giorni e che provocò la cancellazione di oltre 60 serie televisive, oltre a un calo degli ascolti e degli introiti pubblicitari. In quell’occasione lo Stato della California perse oltre 2 miliardi di dollari e oltre 37.700 posti di lavoro.
Secondo Deadline, il bilancio stavolta potrebbe essere persino peggiore. Finora la sollevazione degli sceneggiatori sta costando all’economia californiana 30 milioni di dollari al giorno, ma la somma potrebbe aumentare esponenzialmente nel caso ad unirsi alla protesta siano anche gli attori.