Arriva a New York, dopo Berlino e Roma, la prima personale statunitense di Roberto Maria Lino, artista napoletano classe 1996, con Memoir of a Needle (25 giugno‑8 agosto) alla Palo Gallery nell’East Village. Quattordici opere tessili e un’installazione site-specific raccontano un percorso personale profondo: dal trauma alla guarigione, dalla memoria familiare a celebrazione universale. Al centro, come fauna mitologica, un ago e un filo rosso incutono un linguaggio viscerale, che unisce cuore, corpo e arte.
“È davvero emozionante essere qui a New York, anche perché erano anni che desideravo arrivare in questa città, e farlo con lavori così personali è qualcosa di speciale”, ci dive Roberto Maria Lino. Memoir of a Needle raccoglie opere tessili e un’installazione che raccontano una storia cucita — nel vero senso della parola — su camici operatori, ricordi di famiglia e fili di sangue.
Il lavoro di Lino è interamente costruito intorno al filo e alla cucitura, trasformando materiali ospedalieri e indumenti personali in un linguaggio visivo carico di significato. Fin da bambino, Roberto veniva portato da suo padre, cardiochirurgo a Napoli, in sala operatoria. Quell’esperienza, che oggi ricorda con emozione e lucidità, ha segnato la sua sensibilità: “Papà sperava che diventassi medico, ma per fortuna mia — e dei pazienti — ho scelto un’altra strada,” racconta con un sorriso.
E così oggi, quei camici usati dal padre vengono riutilizzati sulle tele in lavori che fanno parte delle serie Sutura, Spolia e Red Monochromes. In Sutura, le cuciture rosse evocano vene e arterie, ma anche ferite psichiche, tra trauma e guarigione. Spolia, invece, utilizza tessuti di corredi antichi e abiti della nonna, cuciti con lo stesso ago e filo della madre: “Un modo per tenere insieme le generazioni, le memorie, e dare nuova vita a ciò che è stato,” spiega l’artista.

Lino definisce la sua pratica come un “dipingere con l’ago”, e il risultato è una pittura materica, astratta, ma profondamente viscerale. “Le macchie rosse che si vedono nelle opere non sono solo decorative: provengono dai camici operatori e rappresentano la vita, il sangue, ma anche la cura,” spiega. Ogni opera è un equilibrio tra controllo e impulso, tra ordine medico e caos emotivo.
Lisette Tucker, direttrice della Palo Gallery, conferma: “La sua arte è perfettamente allineata con la nostra missione, che è lavorare con storie personali e collettive. In Spolia, ad esempio, ha cucito i lenzuoli del matrimonio della nonna — è un gesto di archeologia affettiva, ma anche un’affermazione di identità”.
Di famiglia della provincia di Caserta, nato e cresciuto a Napoli e ora di base a Roma, Lino trova una connessione profonda tra la sua città d’origine e New York: “Entrambe sono luoghi dove convivono tante culture. E in questo caos ordinato, un artista trova stimolo, comunità e accoglienza”.
Parlare di Napoli per Lino significa evocare una matrice culturale forte: “Napoli è un porto, un crocevia. È normale che produca arte — è una città che pulsa”.
Nella serata di apertura nell’East Village, sono presenti anche i genitori dell’artista. Il padre, il cardiochirurgo Roberto Lino, racconta con franchezza: “Quando mi disse che voleva fare l’artista, mi venne da piangere. Ero arrabbiato. Gli dissi: ‘Vai per la tua strada, ma non ti aiuterò.’” Poi, dopo dieci giorni, cambiò idea. “Ho pensato: sarebbe un pessimo medico. Allora meglio lasciarlo libero. E oggi, sono orgogliosissimo”.
Anche la madre, Donatella, interviene con dolcezza e determinazione: “Io dico che ai figli si mettono le ali. Se gliele dai, volano. L’importante è che abbiano gli strumenti. E Roberto li ha”.
Oggi, a soli 28 anni, Roberto Maria Lino è considerato una delle voci emergenti più potenti nel panorama dell’arte contemporanea italiana. Le sue opere parlano di identità, corpo, medicina, memoria. Ma anche — e soprattutto — di amore.