Abbiamo incontrato Giulia Feleppa a Brooklyn vicino al Barclays Center, con la sua inseparabile macchina fotografica, e le abbiamo rivolto alcune domande.
Da dove vieni? Parlaci di te e della tua città.
Ho 35 anni e sono nata a Bari. Città che mi ha visto da un giorno all’altro indossare pantaloni larghi, hoops giganti, cappellino girato e camminare chilometri con la musica nelle orecchie. Non c’era cosa che mi facesse stare meglio, lontana da pensieri. La radio ed MTV con i video musicali di Missy Eliott, TLC e Fugees mi avevano introdotta alla cultura e moda hip hop, anche se più che da Bgirl, mi vestivo da Bboy. Mi son sentita chiamare maschio non so quante volte, ma non mi è mai importato di risultare femminile o meno, l’importante era sentirmi comoda nei miei vestiti (coprire le mie non forme) e differenziarmi dalle mie coetanee che vestivano firmate e sempre alla moda. Vestirmi largo copriva le mie insicurezze e mi faceva sentire parte di una comunità più grande, dove l’amore per la musica hip hop ci teneva uniti.
Che cosa hai studiato?
È nella scuola di danza che ho ritrovato la mia seconda casa, la prima era l’università. Passavo le giornate a studiare per finire il prima possibile il corso di studi in Lingue moderne per il turismo sostenibile, che mi avrebbe portato a girare il mondo e scoprire nuove culture. Poi la sera dritta a danza, dove ballare hip hop era la mia valvola di sfogo. Non eccellevo nella danza, nonostante i mille sforzi, ma mi sentivo viva e il desiderio di far parte di una crew di ballerini era la mia motivazione. Finiti gli studi, ho mollato tutto e sono andata a vivere in Germania.
Cosa ti ha portato a New York? Quando e come sei arrivata qui?
Mentre ero in Germania, ho scoperto che tutte le ragazzine prima di iscriversi all’università, prendevano un anno sabbatico partecipando al programma au pair in America, durante il quale non solo facevano una esperienza lavorativa e culturale, ma miglioravano il proprio inglese avendo il tempo di capire cosa fare della loro vita, lavorare, studiare o continuare a girare il mondo. Andare in America era sempre stato il mio sogno fin da quando ho iniziato ad ascoltare la musica Hip Hop (ho iniziato a 16 anni). Avevo tentato un paio di volte di partecipare a qualche programma per visitare anche per poche settimane gli Stati Uniti, ma senza successo. Quando ho scoperto di Au Pair In America, non ci ho pensato due volte. Dopo un lungo e tedioso processo di iscrizione al programma (tutto in tedesco), nel giro di pochi mesi avevo trovato famiglia a Boston. Atterrata in uno degli inverni più freddi di Boston, nel febbraio del 2015, con la neve alta fino a metà braccio, non sapevo che la mia avventura negli States sarebbe durata così a lungo. Quando mi sono spostata a New York mi sembrava di essere in uno dei tanti film che ho visto in tv da piccola. La comunità Hip Hop mi ha fatto sentire a casa. Quando scoprono che sei un vero appassionato della cultura ti accolgono a braccia aperte, un po’ come quando arrivi nel sud Italia.

Parlaci della prima delle tue passioni: la fotografia. Che cosa è per te?
La fotografia è quel momento di meditazione, dove prendo del tempo solo per me stessa, e mi soffermo su quello che vedo. I dettagli, le forme geometriche, gli spazi, le ombre. Quei dettagli in realtà mi aiutano ad esprimere quello che sento in quel momento. La mia fotografia è minimalista, solitaria e diretta. Poi c’è la fotografia dei graffiti che racchiude quel momento di gioia nel vederli nei posti più inaspettati. Momento di gioia che devo assolutamente condividere con gli altri o fermare nel tempo, prima che quella opera d’arte venga coperta da un altro writer, cancellato dal proprietario del palazzo o addirittura buttato giù.
Da dove viene il fascino per la street art?
Sono sempre stata affascinata dalla street art, sin da quando ero in Italia. Quello che per altri è vandalismo, per me è manifestazione di bravura artistica, spesso in condizioni rischiose e soggetti a qualsiasi condizione climatica. I graffiti racchiudono un elogio del lettering più dinamico, della color palette più accattivante, del tag più originale e del puppet più stiloso. La mia fotografia è anche un modo per ringraziare la comunità dei graffiti e il movimento Hip Hop per tutto quello che mi hanno dato. All’inizio avevo timore a condividere le mie foto su Instagram poi ho scoperto che in realtà ai writer faceva piacere, dava loro maggior visibilità.
Di che cosa ti occupi? Come hai iniziato a lavorare in questo campo? Il tuo lavoro influenza la tua arte?
Sono una graphic designer e da qualche mese lavoro per una compagnia di architetti.
Studiare graphic design mi ha portato a stare chiusa in casa per ore e giorni. Soprattutto durante la pandemia, camminare per strada mi ha ridato luce e mi ha fatto da terapia. Musica Hip Hop e macchina fotografica erano le mie compagne di camminate.
Ho iniziato a studiare grafica circa 5 anni fa, quando mi sono resa conto che l’arte era parte di me e che potevo vivere di essa. Mi sono laureata in Communication Design l’anno scorso, ma la fotografia prevale sempre. Al lavoro faccio parte del team che si occupa dell’identità aziendale e gestisco il database fotografico, i social media, faccio foto per documentazione interna.
Cosa fai nel tempo libero?
Quando sono fuori dall’ufficio, non perdo occasione per andare ad un concerto live (del mio rapper preferito), una mostra di street art, e esplorare la città, macchina fotografica in mano. Dopo il lockdown, la città si è riempita di tags e “throw up” (una versione più grande del tag caratterizzato da lettere arrotondate, solitamente di due colori per questione di velocità) mentre la street art sembra diventata un trend.
Qual è la differenza tra graffiti e street art?
Graffiti e street art vengono spesso confusi e in realtà possono essere considerati una l’evoluzione dell’altro. Gli street artist vengono pagati per dipingere e i loro pezzi hanno un messaggio diretto e di riflessione su temi mondiali. I writer invece fanno parte di un movimento culturale nato negli anni ’60, si concentrano sul lettering e usano gli spray come sfogo creativo e per affermarsi tra gli altri writer. Mi ritengo super fortunata a poter assistere di persona all’evoluzione di entrambi questi fenomeni in uno dei posti dove la cultura dei graffiti è nata.
Per vedere le fotografie di Giulia Feleppa dedicate alla street art cliccate qui.