Frank Stella, pittore modernista e figura dominante nell’arte americana del dopoguerra, è morto nella sua casa di Manhattan all’età di 87. L’artista era affetto da un linfoma.
Un pioniere del movimento minimalista dei primi anni ‘60, per Stella ciò che principalmente contava era l’impatto visivo dell’opera sugli spettatori. Conosciuto per il rifiuto di spiegare il suo lavoro., infatti, è celebre la frase che era solito rivolgere ai critici: “Ciò che vedi è ciò che vedi”.

Appassionato di pittura astratta, in sessant’anni di carriera l’italoamericano ha realizzato oltre 3.000 opere caratterizzate da tecniche e materiali diversi, in continuo divenire. Il suo stile, si potrebbe dire, è stato proprio quello della reinvenzione, traendo ispirazione dai cambi d’epoca, capace di osservare le tendenze e farle proprie.
Nato in Massachusetts da padre siciliano e da madre calabrese, dopo la laurea in storia conseguita alla fine degli anni ‘50 a Princeton, nel New Jersey, l’artista scelse di vivere a New York. Stella è cresciuto circondato dalla pittura, tra le opere d’arte della madre, pittrice autodidatta e aiutando suo padre – un ginecologo divenuto imbianchino durante la Grande Depressione americana – a dipingere le pareti di casa. Durante gli anni di studio non smise mai di dedicarsi alla pittura. Attraverso le sue connessioni con la Ivy League, poi, Stella fu introdotto al mondo dell’arte di New York City – dove incontrò artisti come Jackson Pollock e Franz Kline – il luogo che ha plasmato il suo approccio artistico.
Divenne famoso da un giorno all’altro grazie alla serie ‘Black Paintings’, tele monumentali su cui linee da un bordo all’altro formano perfetti disegni geometrici. Un passaggio dell’espressionismo astratto alle regole della chiarezza, dell’ordine e della struttura. Era il 1959, Stella aveva 23 anni.
Quel successo lo condusse alla Biennale di Venezia del 1965, come unico esponente minimalista a rappresentare il padiglione americano. Nel 1970, quando aveva 34 anni, Stella divenne l’artista più giovane di sempre ad aver avuto una retrospettiva al Museum of Modern Art di New York.
Per i ‘Protractor’ – 100 dipinti con semicerchi sovrapposti di colori fluorescenti – la rivista culturale The New Yorker lo definì “un dio del mondo dell’arte”. La serie fu ispirata da un viaggio in Iran nel 1963, dove Stella rimase affascinato dai motivi arrotondati e dai colori vivaci dell’arte islamica. Dall’influenza originale, l’artista intitolò i dipinti ad antiche città dell’Asia Minore, come Khurasan, Bassora, Damasco e Harran.

L’arte di Frank Stella ha interpretato l’era della disco music degli anni Settanta, così come la nascita dei graffiti durante il decennio successivo. Negli anni ‘90 il suo lavoro si è evoluto dalla tela alle immagini e alle sculture geometriche, utilizzando la tecnologia informatica e il rendering architettonico. Vedi le gigantesche stelle monocromo in metallo generate dal computer, una delle quali – la ‘Jasper Split Star’- occupa la piazza davanti al n. 7 del World Trade Center a New York.

Nel 2015 il Whitney Museum of Art gli aveva dedicato la retrospettiva inaugurale della sua nuova sede, nel Meat Packing District. ‘Frank Stella a Retrospective’ occupava l’intero quinto piano del museo, una galleria di 2.000 metri quadrati, lo spazio più importante dell’istituzione.