La prima mostra di arte afro americana al Metropolitan Museum di New York. C’è voluto un secolo perché i dipinti, le sculture, le foto, le riviste che hanno caratterizzato un incredibile, fertile, vivace movimento artistico con epicentro Harlem tra il 1919 e il 1930, divenissero protagonisti di una esposizione. “The Harlem Renaissance and Transatlantic Modernism” aperta dal 25 febbraio al 28 luglio è una visita obbligata per comprendere appieno l’arte americana, e internazionale. Perché mostra un tassello finora mancante del quadro della creatività di questo paese, tassello finora largamente ignorato ed emarginato dalle grandi istituzioni museali.
C’era già stata nel 1969 una mostra al Metropolitan dedicata a questa arte, dal titolo “Harlem on my mind: Cultural Capital of Black America, 1900-1968”, ma non esponeva nessuna opera: si limitava a foto e testi esplicativi. Una scelta bizzarra e molto contestata: un gruppo di artisti riunitisi sotto il nome di “Black Emergency Cultural Coalition” protestarono per giorni davanti al museo.
L’esposizione attuale è un’altra storia: contiene 160 opere di artisti molto diversi che lavorarono non solo ad Harlem, ma a Philadelphia, Chicago, Parigi. Include pittura, scultura, fotografia. Ritratti di Matisse, Picasso e Munch, a dimostrazione della circolazione transatlantica delle idee del gruppo. Mostra, attraverso film e riviste, come si trattasse di un movimento che attraversava tutte le arti dell’epoca.

Alla base di questo rinascimento artistico il pensiero di due intellettuali, Alain Leroy Locke e W.E.B. Du Bois. Harlem: Mecca of the new Negro, pubblicato nel 1925 da Locke, diede il titolo al movimento, The New Negro. Nel saggio il professore di filosofia della Howard University, Phd ad Harvard, teorizzava una nuova estetica nera che unisse gli ideali classici occidentali, le innovazioni moderne europee e l’arte africana e folk. Era da poco finita la prima guerra mondiale e l’America stava assistendo alla grande migrazione dei neri dal sud razzista e violento al nord più democratico in cerca di libertà e possibilità di espressione. Locke voleva che l’arte nera avesse la stessa visibilità di quella bianca nella cultura collettiva e nelle gallerie, ma per ottenere questo non doveva perdere la sua specificità. Il suo ritratto ad opera del pittore tedesco naturalizzato americano Winold Reiss è il primo quadro presente nell’esposizione.
Reiss, principale illustratore del libro di Locke The New Negro, divenne insegnante di Aaron Douglas, l’autore dei grandi murales che illustravano la Bibbia, e le aspirazioni dei neri alla libertà ed eguaglianza. Douglas aveva uno stile influenzato dal cubismo, dai bassorilievi egiziani e dalla cultura popolare americana e lavorò molto alla Fisk University, dove ha insegnato per 38 anni, e lasciato il corpo maggiore delle sue opere.

Centro della vita culturale della Harlem Renaissance, il “306 Group” dal nome del palazzo sulla 141esima strada West dove molti artisti lavoravano e insegnavano e dove si riunivano gli intellettuali, ma anche il compositore-scrittore James Weldon e Duke Ellington. A raccontare nei dettagli la vita del quartiere le foto magnifiche di Van Der Zee, dalla ricca coppia borghese davanti alla macchina fiammante alla vita nelle strade, le marce della NAACP, la National Association for the Advancement of Colored People o la parata degli Harlem Hellfighters del 1919 su Fifth Avenue per protestare contro l’esclusione dalle celebrazioni della fine della prima guerra mondiale.

Howard University
La mostra si divide in una sezione dedicata ai ritratti, bellissimi quelli di Laura Wheeler Waring, che aveva studiato a Parigi e lavorava a Philadelphia, ignorata finora dai musei, di Horace Pippin autodidatta. Una sezione è dedicata alla vita dei neri di Harlem, dai tè della borghesia alle sale da gioco e da ballo. Come nei quadri di Archibald Motley o Jacob Lawrence e William Henry Johnson.
Molti artisti della Harlem Renaissance manifestavano il loro impegno politico attraverso la loro arte; è il caso di una piccola scultura di una donna che emerge dalle fiamme. Creata nel 1919 da Meta Vaux Warrick Fuller e intitolata In Memory of Mary Turner as a silent protest against mob violence fu creata per ricordare la morte di una giovane nera incinta linciata e data alle fiamme l’anno prima.
Molti andarono in Europa a lavorare: William H Johnson andò in Francia e Scandinavia, Archibald Motley trascorse un anno a Parigi nel 1929 e dipinse quadri sulla vita nei caffè e locali da ballo. Di contro Matisse venne a New York nel 1930 e visitò i club jazz di Harlem e fece dei ritratti di una sua vicina congolese mostrando di aver assimilato a sua volta l’estetica New Negro.

Solo 21 delle opere nella mostra appartengono al Met, il resto proviene da prestiti di collezioni private e qualche museo: le creazioni del Rinascimento di Harlem iniziano solo ora a entrare nella storia dell’arte americana. Una ingiustizia a cui questa mostra, curata da Denise Murrell, egregiamente inizia a porre riparo. Da vedere, assolutamente.