Dalle ceneri di mezzo mondo distrutto dalla Seconda guerra mondiale, dal fuoco dei bombardamenti, dalle macerie e polvere di città rase al suolo, si poteva solo che sperare in una rigenerazione che portasse allo sbocciare di nuova vita. Un terreno fertile, dopo anni di controllata austerità, pronto a far sbocciare i fiori più vari, da colori sgargianti e da un profumo inebriante per risvegliare la voglia di celebrare la bellezza, l’arte e l’amore. Potrebbe bastare già questa premessa per capire la forza creativa del mondo di Christian Dior: Designer of Dreams in mostra a New York ancora per pochi giorni (fino al 20 febbraio) al Brooklyn Museum of Art.

Le premesse socio culturali sono chiare; la fine del conflitto e la famosa ripresa economica danno spazio ai creativi come Dior di reinterpretare i canoni dell’eleganza femminile abbondando con tutte le linee, i tessuti e gli accessori che negli anni precedenti vengono razionati per ovvie ragioni. Se la donna degli anni Trenta e Quaranta si presenta con una silhouette lunga, affusolata ma un po’ bidimensionale – basti immaginare le lunghe gonne alle caviglie negli anni Trenta o i tagli orizzontali, eleganti ma minimalisti, ornati di crinoline ma dai volumi lisci – la femminilità della fine degli anni Quaranta e per tutta la decade dei Cinquanta offre forme che sbocciano come petali di delicate campanule.
Il creativo a lanciare questa rivoluzione è proprio Christian Dior e lo stile che viene battezzato nel 1947 da Carmel Snow, direttrice della celebre rivista di moda americana Harper’s Bazaar passerà alla storia come il “New Look”. È questo nuovo stile che avvolge immediatamente lo sguardo del visitatore. Ma primo fra tutti, l’iconico e l’inconfondibile, essenza del New Look; Bar suit (collezione Primavera/Estate 1947). La rinnovata joie-de-vivre è contenuta in queste linee sensuali, in cui la giacca, usando appositamente la seta shantung che dona una certa struttura nella forma, si stringe alla vita per poi riaprirsi come un sepalo o calice sui fianchi donando una postura dritta e controllata come uno stelo. A questa si sovrappone un’ampia gonna plissettata di abbondante Georgette di lana nera che, leggera, si apre come una corolla. Corolle è, appunto, il nome della linea. Non una linea qualsiasi, bensì la prima collezione che Dior lancia come la sua Haute-Couture e che ancora domina il mondo della moda.

In pochi passi è subito palese il richiamo floreale da lui tanto amato. Non solo ispirazione, ma anche la tecnica sartoriale sono necessarie per dare una tale forma. Le spalle, ad esempio, scendono dolcemente ma direttamente dal collo, grazie al taglio della spalla raglan, come se il viso dell’indossatrice fosse la base della corolla di un fiore. Creazioni sinuose, leggere, sensuali, spensierate, romantiche. I modelli sono più o meno simili; nella parte superiore Giacche o Corsetti che avvolgono stetti il punto vita, nella parte inferiore; tessuti copiosi che formano gonne o lunghi abiti che ricordano i fluttuosi costumi del balletto classico, oppure lunghe e strettissime gonne che formano dalla vita quasi un cono o meglio una matita… le famose pencil skirts per l’appunto. Matita che attraverso i tanti schizzi che accompagnano la mostra, punta tutta verso il delineare il couturier- artista. Dior afferma: La moda è soprattutto questione di linea. Dalle scarpe al cappello, la silhouette deve essere vista nell’insieme. Lui stesso inizia la sua carriera nell’arte, come gallerista tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta. Altra connessione artistica a cui viene dedicata immediatamente attenzione, è la fotografia e in particolare gli anni d’oro della fotografia di moda che esplode proprio negli stessi anni del lancio della sua collezione.
Sarà per il fatto che forse queste nuove silhouette risultano particolarmente fotogeniche? O forse perché dopo anni di guerra c’è voglia e spazio di sofisticata bellezza? O magari invece le pagine delle riviste sono perfette per esaltare il connubio tra l’occhio artistico del fotografo e i metri su metri di pregiati tessuti che avvolgono sensuali o romantiche pose. Tra i tanti scatti, emblematico a questo proposito è Dovima Under the El (1956). Ovviamente sono presenti i capisaldi della fotografia di moda come Richard Avedon, Hort. P.Horst, Lillian Bassman, Irvin Penn, Devid LaChapelle, Annie Leibovitz, solo per citarne alcuni. Tra gli indimenticabili e più iconici il ritratto di Avedon di Dovima, con le braccia estese verso due elefanti ai suoi lati, delinea una filiforme figura fasciata da un velluto nero e un vistoso lunghissimo satin di color avorio stacca su tutto come un’affusolata Y. Dietro a questa celebre abito Soirée de Paris parte della collezione ispirata alla lettera Y c’è uno dei primi grandi collaboratori e eredi dell’impero Dior; Yves Saint Laurent.
Siamo a questo punto un po’ spaesati. Abbiamo appena lasciato un mondo leggero, setoso e lussuoso che parte proprio con il 1947 e il lancio dell’essenza della moda francese proposta da Dior alle ricche donne americane. Ci siamo appena tuffati e rotolati nelle sete più preziose, nel taffetà più brillante, in nuvole di zucchero filato di organza per poi quasi immediatamente dopo l’ingresso abbiamo già varcato la soglia di una nuova sezione American Fashion Photographer, circondati da dozzine di scatti che chiaramente vanno oltre gli anni del debutto di Christian Dior. A pensarci bene, forse proprio questo è il punto di Matthew Yokobosky, Senior Curator of Fashion and Material Culture. Questa diventa la questione nodale della retrospettiva; Dior non è solo il designer del New Look, della ricercata spensieratezza del dopoguerra. Non è solo lo stilista dei sogni di cui vogliamo apprezzare linee, volumi, strutture, scelte artistiche, tessuti. Christina Dior è il couturier che spettacolarizza la moda e la rende essenza di una cultura – quella francese. Ci ammalia con un lusso e una raffinatezza appartenuti una volta alle celebri e influenti Madame De Pompadour o Maria Antonietta.
The Magnificent eighteenth Century e Miss Dior sono le sezioni della mostra che ci confermano questa esplicita strategia con elementi direttamente ispirati alla corte di Versailles; dai sontuosi abiti ai profumi e lo stesso packaging che evoca il tempietto dell’amore nei giardini del Petit Trianon (piccolo palazzetto privato della regina Maria Antonietta nei giardini del parco). Dior ci fa quasi credere che la continuità storica con il suo più celebre passato, i suoi palazzi più lussuosi, i settecenteschi corsetti e pannier esagerati non sia mai stata spezzata. In altre parole, Christian Dior codifica un linguaggio chiaro, forte e fatto di segni e immagini proprio come una lingua. La risonanza del suo gesto si propaga sinuoso come i suoi tessuti.
Inizia, a questo punto una lunga sequenza di interpreti del mondo Dior – The Dior Legacy. Sei a questo punto i suoi successori; il primo proprio il suo erede scelto Yves Saint Laurent e a seguire Marc Bohan, Gianfranco Ferré, John Galliano, Raf Simons fino ad arrivare a oggi con la guida creativa di Maria Grazia Chiuri. Come tutte le lingue anche il linguaggio della moda evolve e si adatta ai tempi e a chi la parla. È interessante osservare, per tutto il percorso, come sia forte l’imprinting della maison Dior. C’è però anche da notare come ognuno degli interpreti che si è susseguito negli anni, sia riuscito a sopportare o meno l’eco di questa forte voce del couturier fondatore. Ognuno ha modificato il timbro della voce del maestro Dior, con acuti estremi, ma non senza stonature.

Se Yves Saint Laurent, dopo la morte improvvisa di Dior, come nuovo direttore della maison marca uno stacco definitivo lanciando l’innovativa “Trapèze line”, Gianfranco Ferré bell’1989 lo porta addirittura “a casa”, cioè de-francesizzandolo e ibridandolo con una tradizione artistica architettonica tutta italiana. Nel 1996 la guida passa a John Galliano che riporta le note della collezione in Francia dove il Settecento di Versailles fa da sfondo, ma sotto effetti psichedelici esplodendo perciò in linee e colori che, come lo stilista, reiterano il dominio della moda come spazio creativo, di sperimentazione addirittura dissacrante. Gesti forti accettati nella moda, sì ma non da chi la rappresenta, tanto che viene licenziato nel 2011 dopo l’accusa di commenti antisemiti.
Raf Simons, dopo essere stato il creativo nella minimalista casa di moda Jill Sander, viene nominato il successore, ma sembra forse il creativo che rende chiaro quale sia il grande carico di responsabilità a mantenere in primo piano una maison di così tanta rilevanza nel mondo dell’Haute Couture. Impossibile non sovrapporre l’esperienza documentata nel docu-film Dior and I (2014) dove Simons chiaramente fa fatica ad armonizzare la sua voce con tutte quelle che lo hanno preceduto, ma soprattutto con le corde dell’anima del fondatore. A riportare equilibrio pare sia proprio Maria Grazia Chiuri, le cui magnifiche creazioni, sono un misto del Christian Dior classico e l’innovazione di chi vive la moda in un mondo contemporaneo. I fiori tanto amati dal couturier e tutte le varianti floreali del giardino curato da bambino con sua madre Madeleine, sono trasformati da Chiuri in petali di seta dipinti a mano e cuciti su leggeri tessuti di tulle. Tanto tanto tulle che è ben visibile guardando dal basso verso pareti altissime costellate di abiti.

All’occhio poco esperto di sartoria sfuggono i dettagli strutturali di un abito. L’esibizione però rende omaggio anche a quella fase di tecnica sartoriale che in genere rimane nei lavoratori di taglio e cucito dove decine e decine di sarti e sarte sotto la guida di capo sarte (première e seconde) portano alla luce i bozzetti del creativo realizzando toiles di semplice cotone bianco, ossia modelli prova sui quali si baserà il prodotto finale. La meraviglia di questa fase è quella di poter sbirciare nella tecnica di costruzione dell’abito senza la distrazione di abbellimenti o tessuti particolari. Nel caso degli iconici Dior, è spettacolare poter guardare sotto la gonna per capire da dove viene l’effetto dell’abito principesco che, una volta nelle grandi sale da ballo, sarà sognare in tanti. Proprio il ballo conclude il percorso. Finalmente, dopo migliaia di ore per passare dal bozzetto all’abito finale, vedremo volteggiare questi abiti in armonia con la musica che riempie le sale da ballo. Come suggerito dalla mostra, la popolarità dei balli del dopoguerra, celebrano il ritorno alla libertà e alla prosperità e per Dior la sala danzante non è altro che un giardino fertile dove sfoggiare i suoi sontuosi fiori. È il luogo, tanto amato da Christian Dior, dove l’abbellimento è regola. Queste le sue parole: “le serata è il momento quando puoi sfuggire dalla realtà della vita”.
Alla fine, quindi, forse anche noi uscendo da questo magico mondo Dior, rimaniamo con una domanda. Ci chiediamo quando e quale sarà il nostro ballo, che forme e colori avrà, ognuno per sfuggire alla propria realtà dei cambiamenti epocali, dei disastri politico culturali, dalle instabilità e fragilità universali a tutti noi.