Incontro Joseph Desler Costa in una calda mattina di settembre: scopro che si è avvicinato al mondo dell’arte iniziando dalla musica quando, ancora ragazzino, nato e cresciuto a Pittsburgh, cantava e suonava la chitarra con un gruppo di amici. Nel tempo, con loro formerà una vera e propria band e inizierà a usare la macchina fotografica per realizzare le foderine dei CD che incide con il suo complesso. Nei primi anni ‘90 si iscrive all’università per studiare letteratura e, contestualmente, approfondisce la passione per la fotografia. Infine, diventato assistente di un fotografo, scoprirà e imparerà tutte le tecniche necessarie a proseguire da solo la sua ricerca. Nel 2005 si trasferirà a NY dove dal 2010 al 2012 frequenta un master MFA (Master in Fine Art). Da allora è un fotografo professionista.

Trovo che Costa sia eccezionale: nell’idea, la scelta dei soggetti, il movimento che trasmette alle immagini quando “compone” gli elementi che le rappresentano, l’eleganza delle sfumature cromatiche che identificano i suoi lavori. Scopro incredibilmente che le sue foto non sono modificate al computer (non usa alcun programma digitale) e che, ciò che vediamo, è il risultato di una tecnica che nel settore si chiama multiple exposure – sovra-esposizione – ovvero, la stampa di una foto su altre già stampate, come impresse una sopra l’altra, nel tentativo, sempre riuscito, di raggiungere l’immagine originata nella sua idea iniziale o qualcosa che di essa rimane. La sua ricerca tende a studiare prima e, valutare poi, gli effetti ottenuti da questo tipo di tecnica. Ne derivano foto surreali e magnetiche, sempre caratterizzate da accostamenti bizzarri, impreziositi da particolari di grande originalità: luci, contrasti, sfumature, proporzioni, trasparenze, ombre, ma anche ricerca del soggetto – banale solo in apparenza – in grado di custodire memoria e simboli traendoli dalle sue esperienze e da i suoi ricordi – che, evidentemente, non hanno rappresentato solo un passaggio di anni, bensì di vita. Da una vita a un’altra.

Ogni fotografia della mostra ha una sua storia che si sviluppa proprio attraverso quella sovraesposizione cercata e realizzata dall’artista: una moto sospesa tra le nuvole – ma scelta con criteri precisi e tanta accuratezza – prima privata delle ruote, del manubrio e altri pezzi e infine resa opera sospesa, anzi, meglioappesa, letteralmente – e immersa in un cielo lilla, circondato da nuvole, bagliori, forse fumi. Un’immagine che fa pesare a un ricordo sbiadito – la moto riporta immancabilmente gli anni ‘90 – un passato che forse l’autore non dimentica o non vuole abbandonare: la nostalgia di un tempo che lo sfiora, come la sensazione di una carezza che Costa, probabilmente, vorrebbe ancora con sé. E lo spettatore vive la stessa sensazione, proiettato in quegli anni – se vissuti – o in una dimensione ad essi affine.

Proseguendo nella raccolta troviamo anche una bellissima “ala” che si spiega nel blu del cielo ma, guardando bene, è una tendina fotografata in un certo movimento, dentro uno sfondo bluette che da la sensazione di librarsi nel cielo; altre immagini oniriche e surreali riecheggiano e possono liberarsi nella mente di chi le osserva se lo sguardo è puro ma attento. E così via, le fotografie sono tante e ognuna con una sua fortissima identità.
Lo stesso titolo della mostra, Dream Date, è molto evocativo: non sappiamo se questo momento sia passato o debba ancora arrivare; se le foto siano il risultato di ricordi assemblati confusamente insieme oppure il tentativo di rappresentare il momento in cui il dream date si concretizzerà. Perché nelle foto di Costa predomina un rimando costante a cose (personali) – non oggetti (generici) – che riescono a creare costanti déjà-vu negli occhi dell’osservatore il quale, improvvisamente, non sa più dove guardare: se l’immagine nella sua unica complessità o i singoli elementi che si sovrappongono in modo celato e indefinito. E nel mentre stiamo decidendo se osservare l’insieme o una sua parte, il tempo è passato e la dimensione nella quale l’occhio si trova adesso – e anche la nostra memoria – è un’altra rispetto a quella in cui si trovava un minuto prima: l’“oggetto” è diventato “cosa” anche per l’osservatore, non più solo per l’artista, perché solo adesso ha intuìto, attraverso lo sguardo e quei costanti rimandi, che dietro ogni immagine si conserva un pezzo di vita e di storia che ha vissuto anche lui, non solo l’autore. Ogni dettaglio si rivela indizio utile per accompagnare l’osservatore in una storia che anche lui ha vissuto, nel quale un velo di nostalgia gli dà il benvenuto e gli apre le porte di un tempo che fu, che forse non tornerà più indietro.

Infine, il dettaglio dei tagli perfetti eseguiti al laser sulle lamine impresse, concede una intensa profondità e attira l’attenzione: osservando le sagome originate dalle incisioni, si nota che il più delle volte sono un richiamo a forme infantili o che riportano all’adolescenza: come i guanti di Mickey Mouse, le nuvolette stilizzate, le sfere, ecc. Ma nulla è lasciato al caso, perché ogni linea ha un suo senso: i tagli eseguiti compaiono in più lavori e danno forma a elementi sovrapposti o accostati ad altri elementi che si compongono e si scompongono. E il “gioco” di rimando è infinito.

Ogni particolare – ricercato, scelto e inserito dall’autore – ha un suo senso compiuto e continua ad averne uno anche quando la foto è osservata nella sua unicità, nel suo corpusartistico. E il momento che ritroviamo in quello scatto – l’ultimo che raccoglie tutti gli scatti assemblati insieme (non sapremo mai quale) è il déjà-vu che arriva fino a noi, che ci appartiene esattamente come appartiene a Costa, al quale dobbiamo riconoscere il merito di essere riuscito a realizzarlo – e a evocarlo – con assoluta naturalezza ed equilibrio.
Dream Date, di Joseph Desler Costa, prossimamente alla ClampArt Gallery, Chelsea, Manhattan, 247 West 29th Street, Ground Floor New York, NY