
Per mesi ho notato le illustrazioni riportate da La Voce di New York, molto particolari e ben realizzate. Le osservo meglio e decido di approfondire. Scrivo al mio direttore, il quale mi mette gentilmente in contatto con l’autrice delle illustrazioni, Antonella Martino.
Dopo qualche secondo di presentazione in una intervista su Zoom, sento una parlata familiare: anche lei pugliese, precisamente di Mola di Bari, qualche anno più grande di me, con una storia affascinante e per nulla semplice.

Antonella vive a Roma e si occupa di disegnare, implementare e migliorare la fruibilità del materiale didattico adattandolo specificamente alla didattica remota dei corsi di laurea organizzati dalla Università degli Studi “Guglielmo Marconi”. Conosce bene il mondo web e digitale: web master, visual designer sono la sua specializzazione, ma mi racconta che ha perseguito strade ben lontane dalla sua personalità, introspettiva e sensibile…
Faccio un passo indietro e scopro che sua madre, Caterina, scrive poesie e suo padre, Vittorio, dipinge a olio, quando lei, ancora bambina, tentava di imitarlo. E proprio quei momenti rimangono ben saldi nei ricordi di Antonella che nel frattempo, è cresciuta e ha seguito strade più pragmatiche e tecniche rispetto alla sua indole di artista in erba. Sì, artista, perché Antonella non crea illustrazioni ma vere e proprie opere d’arte. Piccole storie raccontate dentro immagini accennate nella raffinatezza del gesto il cui segno si distingue, inizialmente per l’accuratezza con cui è tracciato, ma che poi, inseguendo uno stile più istintivo, si trasforma in una linea grossolana e decisa, soprattutto fiera di essersi manifestata in tutta la sua verità. I colori vestono le linee, sia dei disegni volutamente abbozzati in danze appassionate, che di quelle racchiuse in architetture snelle e studiate. Eleganti si accostano fra di loro e si muovono in un’armonia delicata ma di chi ha le idee molto chiare.

Antonella, come si arriva a questa “sintesi” se così posso chiamarla?
“A dire il vero, è il risultato di un lavoro molto lungo e faticoso. Le mie illustrazioni nascono dopo lo studio dell’articolo: inizialmente cerco quel quid che lo distingue e sul quale tutto il pezzo è articolato. Non si tratta tanto del senso che possiede quanto del percorso. Una volta individuato il leitmotiv inizio a disegnare. Ed è qui che entrano in gioco tutti i fantasmi che mi inseguono: rudimenti, condizionamenti accademici, regole stilistiche e nozionismi si risvegliano e mi rincorrono senza darmi via di scampo. La fatica è svincolarsi da questi “limiti” e cercare la libertà. Abbandonarsi all’istinto più remoto e all’intuito più puro. La ricerca della libertà è il momento più faticoso e anche più coraggioso, perché si corrono dei rischi: alla fine traccio una linea che sfugge alle regole; mentre la percorro sono sempre più consapevole che sia errata, ma io sento che è giusta così, quindi continuo a segnarla. Il più delle volte questo percorso – e il risultato che ne consegue – non sono compresi. Anzi, vengono confusi per superficialità o, peggio, incapacità”.
Meraviglioso! Tu hai appena spiegato quello che sostengo nella mia rubrica riguardo alla creazione di un’opera d’arte. L’ho scritto anche nei miei bigliettini da visita: “cerco l’intuizione del gesto che… … evoca tracce… …ecc. ecc..”. (Le mostro il mio bigliettino). Hai spiegato quello che solo i veri artisti riescono a fare, ovvero, tradire l’attività razionale per abbandonarsi a quella intuitiva e irrazionale. Nella tua “Penthesilea” – creata durante il lockdown e ispirata al mito della Regina delle Amazzoni e a “Le città invisibili” di Italo Calvino – si rilevano tanti elementi, stilistici, cromatici e simbolici. Spiccano i contrasti: linee perfette e non sono in costante armonia. Trovo che vi siano una profonda cura. Dedizione. Il desiderio di rompere degli argini e di lasciare andare il proprio sentire, le energie, la passione.
“Sì. Verissimo. In quel lavoro ho provato a incoraggiare il pubblico a una comprensione più profonda delle esperienze visibili ed invisibili, ad approfondire l’essenza della condizione umana. Che lo strumento web recide silenziosamente”.

Ricerca, umanità, sensibilità dunque. Del resto, le due figure sono molto chiare: una a rappresentare la parte razionale e obbediente alle convenzioni – il cane ricorda addirittura un paggetto e la donna -l’amazzone – la sua natura più selvaggia e autentica. Sono illustrazioni, che in un certo qual senso reputo trasgressive. Potrei definirle rock, poetiche e rock, di grande musicalità: gli intrecci, il movimento, i soggetti… suonano! Certe immagini fanno pensare a delle sequenze, dei fotogrammi. E’ possibile che in talune, affiori, seppur velatamente, l’amore per il cinema? Leggo nel tuo curriculum che hai lavorato come sceneggiatrice e scrittrice di commedie teatrali. Finanche per Maurizio Costanzo, del quale hai adattato una commedia (peraltro Corto Vincitore del Premio Speciale Culturart Commission al Corto d’Autore Festival 2012 – L’adattamento cinematografico: “Il fascino discreto della parola” di Maurizio Costanzo.
“Sì, ho fatto anche quello. Il cinema è stata ed è una mia grande passione. Ho visto di tutto. Il mio film preferito, In the Mood For Love, anni fa mi ha fatto vincere un’importante borsa di studio durante l’esame orale”.

Trovo molto gioiosa e brillante la tua rappresentazione del Capodanno newyorkese, “New Year – A new mood of life in Times Square” (2019). E’ stata selezionata per qualche concorso? Ho letto che l’ultimo cui hai partecipato, AD ART SHOW 2020, ti ha concesso di mettere in vendita dodici tue illustrazioni su Artsy.net. Quali sono i tuoi ultimi lavori?
“Sì la MvVo Art sponsorizza gli artisti selezionati. Mi piace molto lavorare per dittici, l’ultimo “Desire and Jealousy” è dedicato alla milonga e al tango”.

Anche “The Angel and The Killer – What if one day you meet an angel?” (2020) è molto interessante. Raccontami!

“Sì, è una tecnica ‘rivisitata’ della Single Line, la mia preferita: la teoria prevede una linea singola per tutta l’illustrazione senza mai staccare la penna dal foglio. Io invece disegno delle single line “multiple”, illustro il visibile con l’inchiostro nero e l’invisibile con linee arancio e light blue. Questo dittico non fa parte dell’AD ART SHOW, l’ho creato per il Pride Month di giugno 2020 in un momento di riflessione e constatazione della dilagante diffidenza tra gli esseri umani, soprattutto nei confronti della diversità, “perché cerco il bello in ogni cosa e non rinuncio solo perché mi dicono che non esiste”, frase che mi ha dedicato mia madre, diventata il mio manifesto d’artista”.
Con quali illustrazioni hai vinto la selezione per l’AD ART SHOW 2020?
“Con “Metropolitan Dog”, “New Year – A new mood of life in Times Square” illustrata per la Voce di New York, “Passion”, dedicata al tango, e “Get out of my head”, locandina creata per il cortometraggio di Luca de Benedetti, “The truth is that I don’t really care what you think””.

Peraltro, ti confesso che alcuni tuoi lavori, le sovrapposizioni delle sfumature, i colori che usi mi hanno ricordato un altro artista, un fotografo di grande raffinatezza, che intervisterò a breve, Joseph Desler Costa (n.d.r.), di Pittsburgh e che da anni vive a New York. Sarei dovuta essere a NY a Marzo 2020 per vedere la sua mostra, ma è stata rimandata a causa del Covid. Anche tu dovresti organizzare una mostra a New York, non credi?
“Mi piacerebbe moltissimo. Ci proverò, appena possibile. Potresti darmi una mano! Sei anche curatrice, se non sbaglio”.

Sì, certo! Ne sarei onorata. Un’ultima domanda: i tuoi fratelli vivono a New York. Pensi che ti trasferirai anche tu, prima o poi?

“In fondo, in fondo mi piacerebbe. New York mi attira e mi piace; e comunque sento forte il desiderio di tornare a vivere con la parte della mia famiglia che non è più in Italia da tempo. I miei fratelli sono fuori da circa quindici anni. Mia nonna vi si era trasferita nel 1971. Ora non c’è più. Per il momento, sto concentrando le mie competenze e le mie energie in un’attività che possiamo definire nuova, pertanto mi limiterei a delle collaborazioni con l’estero”.
L’intervista si conclude. Io e Antonella ci salutiamo. Mi sento contenta di averla conosciuta. Scoprire il back stage della vita delle persone mi regala sempre qualcosa di magico e di profondo. Sento che anche io sono vicina a qualcosa di nuovo. Scoprire ciò che non vediamo, ciò che le persone vivono e che si nasconde dietro l’apparenza del quotidiano, il loro successo, il fallimento o cambiamento, mi fa sentire più ricca: mi fa toccare con mano il valore della vita, anche quello di chi fa delle scelte che possono sembrare inconsuete o bizzarre. Comprendere l’animo umano attraverso l’interlocuzione mi aiuta a capire me stessa o, meglio, ritrovare lati di me che mi ero persa…
Antonella Martino ha talento e sensibilità eccezionali. Credo che non passerà molto tempo prima che la rivedremo ancora come protagonista di progetti di spessore e importanza internazionale.