Che questa non sia una mostra lo abbiamo capito. Ce lo dice Renato Miracco, curatore di The Day Memory Dissolved, esposizione che raccoglie le foto di Massimiliano Gatti, ospitata da The Italian Academy for Advanced Studies in America della Columbia University. Sembra più un’opportunità da cogliere per diventare più consapevoli, compassionevoli, umani.
Palmyra, Resafa, in Siria; Khorsabad in Iraq: sono questi alcuni dei soggetti che Massimiliano Gatti cattura durante la sua esperienza oltre le frontiere e che, proprio in questi giorni, porta a New York. Con queste immagini isolate, lontane, che sanno ancora di sabbia, Massimiliano Gatti tenta di creare un ponte tra il presente e ciò che è chiaramente vulnerabile, mentre il mondo rischia di dimenticare. Mantenere integra la memoria, quella che appartiene a tutti e che contiene tutte le altre. Abbiamo tutti un gran debito di gratitudine verso questa ombra antica. E questo lavoro, a suo modo, tenta di ripagarlo. Non solo per noi, ma anche per le generazioni che verranno.

“La mia pratica – ci spiega il fotografo – è, in questi casi, molto solitaria e meditativa, ci si immerge nel paesaggio e nella storia ed è un’azione personale”.
Gatti usa la fotografia per dare respiro ad immagini che vale la pena guardare. Vedere queste foto fa bene a tutti. Iraq, Siria, posti bombardati ogni giorno. E non solo dalla guerra, ma dall’indifferenza, dall’ignoranza, dalla volgarità di chi non è più a ritmo con ciò che lo circonda. Salvare la memoria significa salvare questi luoghi. Fotografarli, significa raccontare storie che potrebbero essere cancellate.
“Ho utilizzato una luce molto forte – prosegue Gatti – quella dei deserti medio orientali, dove, dappertutto è luce. Questo è l’effetto della sabbia e del cielo che restituiscono la loro luminosità. Questa luce è diventata, in qualche modo, una mia cifra estetico-stilistica, e ricorda l’estetica del ricordo, nel suo vanificare l’immagine”.

Spesso, finché le cose non ci crollano davanti non le guardiamo e abbiamo quindi una gran bisogno di ascoltare ancora certe cose. E più siamo negligenti, più queste indagini, iniziative, diventano necessarie. In questa più ampia prospettiva, il lavoro che Massimiliano Gatti porta qui a New York, diventa una piccola, delicata, spia luminosa che ci informa che qualcosa potrebbe non andare come ci aspettavamo. Che le guerre, il cambiamento climatico, il terrorismo, portano via tanta bellezza. E noi non dovremmo permetterlo. Figuriamoci fregarcene. Si tratta della nostra identità. Come cittadini di questa terra, e come eredi di una storia che va protetta. I nostri spazi vanno preservati, ovunque essi siano. Un bel modo di volersi bene, nonostante tutto.
La prospettiva artistica, qui, si affaccia su luoghi seriamente a rischio. Non c’è più tempo per essere superficiali, queste immagini ce lo dimostrano.
La mostra è parte del programma Protecting our Heritage, del cluster Washington dell’EUNIC (European Union National Institutes of Culture), oltre che parte del programma dell’Italian Academy’s International Observatory for Cultural Heritage, lanciato nell’anno accademico 2016–17 con un gruppo di ricercatori specializzati in conservazione dei beni culturali nel panorama contemporaneo. Resta aperta fino al 16 novembre.