Nell’uscire dalla mostra Giorgio Morandi al Center for Italian Modern Art lo scorso novembre, l’artista olandese Jan Dibbets è tornato sui suoi passi per dare un ultimo sguardo ad un dipinto tardivo di Morandi, una Natura Morta, 1963, quasi quadrata e tono-su-tono, e ha sussurrato: “Quest’opera è il perfezionamento di quello che Morandi ha perseguito durante tutta la sua carriera!”. Rompendo il silenzio che aveva circondato la sua visita, questo commento ci ha dato la possibilità di approcciare Dibbets e domandare all’artista — un pioniere dell’arte concettuale, che abbandonò la pittura nel 1967 per mai riprenderla — le ragioni del suo interesse per Morandi, il pittore per eccellenza. Perché mai l’olandese è infatuato dall’italiano? E così Dibbets ci ha raccontato dei suoi anni da studente. Per un artista che raggiunse la maturità negli anni Sessanta, c’erano solo una manciata di pittori osservando i quali si poteva imparare l’arte, e per lui in particolare questi erano Giorgio Morandi e Robert Ryman.
Gallery 2, vista dell?istallazione lato Est: selezione di lavori eseguiti tra il 1968 e il 1985 (Dia:Chelsea)
Con Robert Ryman, in mostra a Dia:Chelsea fino a giugno 2016, quest’anno i newyorchesi hanno l’opportunità straordinaria di avere mostre di entrambi i pittori. La mostra esibisce 22 lavori che l’artista americano Robert Ryman ha dipinto tra il 1958 e il 2002, installati con intelligenza su due sale di diversa grandezza e illuminate dall’alto con luce naturale, il tutto contribuendo a rendere questa limitata selezione una ricca esperienza in termini di materiali, gesti ed effetti. In luogo di un tipico sviluppo lineare, l’opera di Ryman dagli inizi ad oggi orbita attorno alla medesima preoccupazione. Così come Morandi impose a se stesso un vocabolario limitato di forme da dipingere, è risaputo che Ryman ha ridotto la sua tavolozza al colore bianco e la superficie delle sue opere alla forma quadrata. Tuttavia, queste limitazioni sono diventate la forza di Ryman, come dimostrato magnificamente nella mostra a Dia. Per più di cinquant’anni, l’artista ha investigato in maniera sistematica, con parole sue, “mai che cosa dipingere, ma come dipingere”. La sua produzione moltiplica in maniera sorprendente gli effetti spaziali del colore bianco, attraverso un’amplissima gamma di modi di applicazione della pittura, svariati materiali di supporto e superficie e un vasto repertorio di sistemi diversi per appendere i suoi quadri.
Untitled, c.1960 (Olio e gesso su lino), The Greenwich Collection, Ltd (Dia:Chelsea)
La prima sala a Dia:Chelsea è uno spazio piuttosto angusto, con, entrando, un paio di ampie tele sulla destra (Untitled, 1962 and Untitled [Background Music], 1962), un trio di lavori di dimensione ascendente sulla sinistra (Untitled #17, 1958; Classico 6, 1968; Counsel, 1983), e un piccolo, ma impressionante quadro decentrato sulla parte opposta a quella del visitatore (To Gertrud Mellon, 1958). La distanza ravvicinata coi dipinti incoraggia l’ispezione accurata delle opere, che tuttavia è frustrata dalle mutevoli condizioni di illuminazione, rendendo impossibile fissare dettagli senza che cambino sotto i nostri occhi. Da questa prima sala il visitatore passa al secondo e più ampio spazio e ha la possibilità di abbracciare con un solo sguardo ciascuna delle quattro pareti, dove i dipinti sono sapientemente raggruppati in modo da sottolineare, rispettivamente, i materiali di supporto eterogenei impiegati da Ryman, l’attenzione che egli dà agli agganci tra i dipinti e le pareti, i molteplici modi di applicazione della pittura e le delicate sfumature di colore che traspaiono sotto le sue caratteristiche superfici bianche.
Gallery 2, veduta dell?istallazione parete Sud (Dia:Chelsea)
La mostra a Dia:Chelsea, inoltre, triangola attraverso lo spazio e il tempo la storia istituzionale della Dia Art Foundation. Evoca la prima mostra che Ryman ebbe con Dia Center for the Arts nel 1988-89, riattivando così non solo la relazione di lunga data tra l’artista e l’istituzione, ma anche la presenza storica di Dia nel quartiere di Chelsea. Infatti, tra il 1987 e il 2004 Dia ha occupato l’immobile al 548 West 22nd Street, ovvero, dall’altra parte della strada rispetto agli spazi che occupa attualmente al 541-545 West 22nd Street. Ryman stesso contribuì a installare lo show nel 1988, definendo la misura degli spazi proporzionalmente alle sue opere, e filtrando la luce naturale attraverso finestre e skylights. Geograficamente, la presente mostra crea un ponte immaginario tra Dia:Chelsea e Dia:Beacon, il maestoso spazio di esposizione un’ora a Nord lungo l’Hudson River. Fin dalla sua fondazione nel 2003, opere di Ryman nella collezione permanente di Dia sono state esposte a Beacon.
Catalyst III, 1985 (Smalto su alluminio con bulloni di acciaio), Collezione privata
Robert Ryman nacque a Nashville nel 1930. Nel 1952 si trasferì a New York con l’intenzione di perseguire la carriera di musicista jazz, ma poco dopo cominciò invece a dipingere. La sua prima produzione rivela il suo amore per – e il suo sorpasso de – l’Espressionismo Astratto, come mostrano alcuni lavori esposti a Dia (tra cui Untitled e Untitled [Background Music]). Qui, Ryman svuota le pennellate gestuali tipiche dell’Espressionismo Astratto di ogni riferimento soggettivo, così che ogni singolo tocco di blu, rosso e bianco denota una meccanica scomposizione invece che un senso di immediatezza. L’artista ebbe la sua prima monografica nella Bianchini Gallery di New York nel 1967 e da allora in poi la sua carriera crebbe a livello internazionale. A quell’epoca Ryman cominciò a sperimentare con diversi materiali di supporto, passando dai più tradizionali tela, carta e tavola all’alluminio, la fibra di vetro, e il plexiglas. In sintonia con l’arte concettuale, Ryman negli anni Settanta comincia a dare visibilità a uncini e ganci che uniscono i quadri alla parete – e per estensione al loro contesto istituzionale. Esempi di questa pratica sono in mostra a Dia, dove i quadri variano da tele senza telaio e graffettate alla parete (Arista, 1968), a tele posate su un ripiano rialzato in legno parallelo al pavimento (Pair Navigation, 1984/2002).
Gallery 2, veduta dell?istallazione parete Nord: selezione di lavori eseguiti tra il 1983 ed il 2002 (Dia:Chelsea)
La mostra Robert Ryman serve da meraviglioso aide-mémoire dell’importanza storica di un artista, che ha attraversato l’Espressionismo Astratto, il Minimalismo e il Post-Minimalismo. Inoltre, ci presenta Ryman quale protagonista vitale del vivace dibattito contemporaneo sulla nuova pittura oggi.
*Matilde Guidelli Guidi è una dei fellow del CIMA.
Questo articolo viene pubblicato anche sul Blog del CIMA.