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March 3, 2015
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March 3, 2015
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Arts & Foods. All’Expo mangiare diventa un’arte

Maurita CardonebyMaurita Cardone
Joe Colombo, In Flight Service aboard Alitalia

Joe Colombo, In Flight Service aboard Alitalia

Time: 5 mins read

 

Cosa c’entra l’arte col cibo? C’entra eccome. Soprattutto se c’è di mezzo l’Expo. Se l’Expo 2015, attraverso il tema del cibo in cui l’Italia è un’indiscutibile autorità, vuole essere occasione per allargare gli orizzonti internazionali della cultura del Bel Paese, non poteva mancare un evento dedicato all’arte contemporanea. Anzi due. E il tema non poteva che essere alimentare. 

Nel corso dell’Esposizione universale che dal primo maggio alla fine di ottobre riunirà a Milano più di 140 paesi intorno ai temi dell’alimentazione sostenibile, saranno allestite due grandi mostre a tema gastronomico a cura di uno dei curatori italiani meglio noti sulla scena internazionale, il cui nome è indissolubilmente legato all’Arte Povera. Parliamo di Germano Celant che ha presentato gli eventi organizzati per l’Expo nel corso di una serata allo Standard Hotel di New York, dove lo storico dell’arte e curatore è di casa e da tempo lavora per internazionalizzare l’arte contemporanea italiana anche attraverso il suo incarico al Guggenheim.

GC

Il curatore delle due mostre, Germano Celant, durante la presentazione allo Standard Hotel di New York

Arts & Food. Rituals since 1851 è il titolo della mostra che si svolgerà nel padiglione della Triennale di Milano a partire dal 9 aprile e fino al 1 novembre. Quando gli è stato proposto di occuparsi di questa mostra, ha spiegato Celant a New York, l’idea è stata subito quella di mettere insieme più linguaggi. Se si pensa al cibo nell’arte, infatti, la prima cosa che viene in mente sono le nature morte: “Ma quante nature morte uno può guardare? Ho deciso quindi di usare tutti i linguaggi possibili”. Su una superficie di 7.000 metri quadrati, parte all’interno, parte all’estero, saranno esposti 1.200 pezzi che spaziano tra diversi mezzi espressivi e forme artistiche: 500 tra dipinti e sculture, 250 fotografie, 120 film, musica, oggetti, performance, installazioni, arte ambientale, architettura.

La mostra fornisce una panoramica completa dell’interazione tra estetica e design nel rituale del cibo che, dal 1851, anno della prima Esposizione universale al Crystal Palace di Londra, attraverso un percorso storico che segue la storia dell’arte moderna e contemporanea, porta lo spettatore fino ai giorni nostri. Nutrizione, rituali della tavola, prodotti alimentari, l’ambiente cucina, ristoranti, bar, mercati e banchetti sono solo alcune delle variazioni sul tema che le opere esposte offrono per contribuire a suscitare una riflessione creativa sul tema dell’Expo. Il tutto mettendo in gioco tutti i cinque i sensi: ci saranno anche riscostruzioni di ambienti domestici, bancarelle di cibi orientali ed emettitori di profumi.

Arman

Arman, Art├®rioscl├®rose, 1961, acummulation of Forks and Spoons in box. Arman Studio

Testimonianze di scrittori, registi, architetti, musicisti e designer, a partire da Impressionismo e  avanguardie storiche, fino alla Pop Art e a ricerche più attuali, guideranno i visitatori in quello che Celant ha concepito come un viaggio: “È un viaggio all’interno dell’idea del cibo – ha detto il curatore durante la presentazione – attraverso diversi linguaggi. È una jam session in cui tutti i linguaggi danzano insieme”.

Uno spazio sarà dedicato ai bambini e vietato agli adulti, in un percorso che offre un’interpretazione giocosa del tema. In questo spazio, fisicamente inaccessibile (ma visibile, ci tiene a rassicurare Celant) agli adulti, perché progettato a misura di bambino, ci saranno opere, tra cui diversi Andy Warhol, che soltanto i più piccoli vedranno. “Le mostre sono sempre luoghi di repressione, dove i bambini a volte non sono nemmeno ammessi o comunque viene loro detto di non toccare, di non avvicinarsi troppo… Qui invece noi abbiamo uno spazio solo per i bambini”.

Oldenburg

Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, Leaning Fork with Meatball and Spaghetti II, 1994, Foto: Ellen Page Wilson, courtesy the Oldenburg van Bruggen Studio and Pace Gallery. Copyright 1994 Claes Oldenburg and Coosje van Bruggen

In linea con la filosofia dell’Expo, la mostra nasce con una forte vocazione internazionale, anche se non mancheranno gli artisti italiani: “Avremo De Chirico, Boccioni, Fontana, Cattelan, Kounellis che ha fatto tanti lavori con il caffè, le avanguardie, il Futurismo – ha commentato con La VOCE di New York Germano Celant – Ma l’Expo è soprattutto un’occasione per l’Italia di mostrare la sua professionalità, la capacità di fare un grande evento e una grande mostra internazionale, di un livello all’altezza di New York o di dovunque altro”. Sul perché l’Italia finora non sia riuscita a dimostrare di poter avere un ruolo nel panorama internazionale dell’arte contemporanea, Celant non ha dubbi: “Non abbiamo le istituzioni. Le nostre istituzioni non hanno soldi per comprare le opere, e così finisce che tutto il nostro patrimonio è in qualche museo di Berlino, Londra eccetera. Ora Franceschini ha annunciato questa cosa del sostegno da parte dei privati [il programma Art Bonus, recentemente presentato dal ministro alla Cultura a New York, nda]. È una buona cosa, ma intanto sono passati cento anni in cui abbiamo perso tutta la nostra avanguardia, l’Arte Povera, Boetti… è tutto andato a finire nei musei tedeschi”.

In abbinamento ad Arts & Food, il Museo del Design della Triennale di Milano ospiterà, dal 9 aprile al 21 febbraio 2016, la mostra Kitchens & Invaders che illustra la graduale quanto inesorabile trasformazione della cucina tradizionale in uno spazio dominato dalle macchine, presenza minacciosa che si appropria delle mansioni di cucina schiacciando l’uomo. La mostra, sempre a cura di Germano Celant, è una raccolta di scenari fantasmagorici e inquietanti legati all’universo cucina: armate di frigoriferi, stanze riempite di cappe d’aspirazione dove gli spettatori si sentiranno risucchiare e altre trovate spaventose. 

GP

L’architetto Geatano Pesce ha realizzato l’installazione che chiude la mostra Kitchens & Invaders

A fare da contraltare a questa visione della cucina come luogo dominato da terrificanti robot, l’installazione di un italiano dall’animo newyorchese, l’architetto Gaetano Pesce la cui opera chiude la mostra su una nota positiva. “Ho interpretato la cucina come luogo di passione – ha detto Pesce a La VOCE – Se nella camera da letto si riproduce l’essere umano, in  cucina si consente la sua sopravvivenza. Ma è anche vero che in camera da letto non si può fare da mangiare, mentre al contrario in cucina si può fare l’amore. Ho visto la cucina come centro dell’abitare umano”. Nell’installazione di Pesce gli spettatori si troveranno all’interno di una stanza il cui soffitto è il pavimento, trasparente, di una cucina in cui si svolge la più o meno normale vita (pare che ci sarà anche un delitto, con tanto di sangue sul pavimento trasparente) di varie persone. Non è la prima volta che l’architetto italiano si confronta con il tema del cibo. Anni fa Pesce compose un paesaggio fatto di cibo, tutto commestibile: “Alla fine la mostra non c’era più perché gli spettatori andavano via con la mostra nella pancia” conclude l’architetto ridendo. Mai è stato più vero che l’arte è nutrimento, a quanto pare non solo per l’anima.

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro, senza che mai mi sia capitato di incappare in un contratto stabile. Nel 2011 la vita da precaria mi ha aperto una porta, quella di New York: una città che nutre senza sosta la mia curiosità. Appassionata di temi ambientali e sociali, faccio questo mestiere perché penso che il mondo sia pieno di storie che meritano di essere raccontate e di lettori che meritano buone storie. Ma non ditelo ai venditori di notizie.

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