Immaginate una vecchia ferrovia sopraelevata, un po’ arrugginita e abbandonata, sulla quale la vegetazione nasceva spontaneamente donandole colori diversi ogni stagione: quale scenario migliore per inventare una nuova idea di parco a sette metri di altezza, sempre pieno di gente e di avvenimenti? La High Line è oggi una risposta sincera e originale ad un vero e proprio fenomeno sociale. Come ogni grande opera d'arte visiva, propone un concetto condiviso da un grande gruppo di persone e lo rende concreto, visibile in tre dimensioni. Il concetto di cui parliamo in questo caso è "gentrification", e la vecchia ferrovia che attraversava un quartiere degradato è diventata un monumento urbano, cardine di nuove speculazioni che a macchia d’olio hanno trasformato quel quartiere, il Meatpacking District, rendendolo tra i più trendy di Manhattan.

La High Line nel secolo scorso
L'effetto estetico della High Line è fortemente pensato e poco lasciato al caso, e in questo sembra riassumere il dilemma del creare nuovi spazi pubblici o monumenti urbani, paradigma di questa era di implacabile privatizzazione. Come con Disneyland, il parco della High Line rischia di essere riprodotto all'infinito, ogni volta con meno autenticità e meno abilità, fino a che il concetto sembrerà scontato.
Negli ultimi anni si è scritto comprensibilmente molto sul parco della High Line che, dall’inaugurazione del suo primo segmento nel 2009, è rapidamente divenuto uno dei simboli della città; fotografato, visitato e imitato da molti, almeno nelle intenzioni.
In Italia, a Roma in particolare, sono anni che si avanzano proposte per recuperare la vetusta sopraelevata della tangenziale — sì proprio quella del ragionier Fantozzi — liberandola del caos automobilistico e proponendo al suo posto passeggiate pedonali immerse nel verde. D’altronde il passato dell’infrastruttura romana e quella newyorchese è molto simile: entrambe pensate come immagine del progresso e della modernità si sono poi trasformate in simboli di degrado per le quali molti chiedevano a gran voce l’abbattimento.
La profonda differenza storico/culturale delle due città ha fatto sì che l’evoluzione di queste due grandi infrastrutture, simili alla nascita, si sviluppasse in maniera radicalmente diversa. Oggi infatti, se la High Line è una consolidata realtà di cui si scrive sulle riviste di mezzo mondo, i sogni di realizzare qualcosa di simile a Roma assomiglino sempre più ad un chimera, nonostante le decine di conferenze e proposte sviluppate a riguardo. A sottolineare la loro differenza, il parco in quota di New York è stato costruito ed è mantenuto in misura significativa, quasi esclusivamente da fondi privati: per acro è costato più di qualsiasi altro parco nella storia. A Roma, con la maggior parte dei parchi cittadini che lottano per far quadrare i conti, spendere tali cifre sarebbe una fonte inevitabile di risentimento.
Nel 1999 a New York si costituisce un’associazione di cittadini e residenti dal nome Friends of High Line che ha come scopo proprio quello di impedire l’abbattimento della vecchia West Side Line ormai abbandonata da un ventennio e di proporne la sua riqualificazione a parco urbano. Dopo poco entrano a far parte di questa associazione volti noti del mondo dello spettacolo che vivono nel quartiere, il Meatpacking District appunto. Personaggi famosissimi come gli attori Edward Norton, Ethan Hawke, Kevin Bacon o la stilista Diane von Fürstenberg diventano “amici” della sopraelevata e da quel momento l’attenzione sul progetto è progressivamente cresciuta, l’opinione pubblica è stata sensibilizzata e gli investitori si sono fatti avanti interessati all’opportunità. La ricca associazione ha potuto quindi incaricare importanti studi di progettazione come Diller Scofidio+Renfro e lo studio di architettura del paesaggio James Corner Field Operations, che insieme hanno elaborato questo innovativo progetto.
A Roma tutto questo non è ancora possibile. Nonostante ci si interroghi da almeno una ventina d’anni sul futuro delle rampe sopraelevate della tangenziale est, dove il caotico traffico della capitale sfreccia (se va bene) a pochi metri dalle finestre del quartiere di San Lorenzo, la situazione non è mai cambiata. Si tratta di una vera e propria questione ideologica: demolire quello che molti dei cittadini del quartiere San Lorenzo definiscono “il mostro” non rappresenta una soluzione al problema. Questo è quello che cercano di sottolineare gli Amici del Mostro, un comitato nato sul modello oltreoceano di Friends of High Line, che ha cercato di innescare dinamiche virtuose promuovendo al contrario la valorizzazione della sopraelevata, senza però riscuotere la stessa fortuna nè tantomeno “importanti” adesioni. San Lorenzo non è Chelsea e i romani in fondo non aspirano a sostituire alle macchine, folle di stranieri che passeggiano davanti le loro finestre, né desiderano vendere al turismo l’autenticità di questo vecchio quartiere.

La tangenziale est oggi
Non ci si può limitare al gap economico-culturale che fa della Grande Mela un modello “da copertina”, per spiegare il motivo dell’incapacità romana di portare a termine una operazione ancora non chiara ma certamente altrettanto ambiziosa. Un ulteriore aspetto decisivo per comprendere e contestualizzare correttamente le due vicende è infatti quello emotivo. Osservando le date ci si rende conto infatti di un particolare di importanza fondamentale: la ferrovia sopraelevata che attraversava da nord a sud gran parte del West Side fu dismessa e abbandonata all'inizio degli anni Ottanta, e solo dopo due decenni di totale oblio si è acceso attorno ad essa il dibattito sulla possibilità di riutilizzarla o demolirla. Il fatto, apparentemente marginale, è decisivo se paragonato alla situazione della tangenziale, visto che quest'ultima è ancora in funzione e ogni giorno viene percorsa da un fiume di automobili: é comprensibile che gli abitanti che vivono a pochi metri da essa la percepiscano come un disagio dal quale liberarsi al più presto e che allo stesso tempo non siano interessati ad un'ipotesi di riuso. Insomma a New York è stato più facile trasmettere un messaggio, una visione, avendo già di fronte agli occhi una ferrovia abbandonata e ricoperta di vegetazione e, quindi, quasi spontaneamente trasformatasi in parco.
In ultima istanza è importante sottolineare un aspetto già denunciato da architetti e paesaggisti: la High Line è un meraviglioso giardino urbano mentre, fino ad oggi, la maggior parte dei progetti formulati per la tangenziale prevedono di trasformare il tracciato odierno in una sequenza ininterrotta di orti urbani. L'orto urbano è da qualche anno una pratica molto in voga, ma il punto è che rischia di ridursi ad una moda fine a sé stessa, senza riscontrare una reale utilità: un orto ai lati di una strada infatti, oltre a non svolgere nessuna funzione di schermo da rumori e inquinamento produrrà frutti di qualità e genuinità piuttosto discutibili.
Un giardino, in fondo, come icona di cambiamento nell’intero quartiere, potrebbe influenzare e migliorare la qualità della vita di una area piuttosto vasta. Dotando questo parco di spazi e luoghi di aggregazione che, come a suo modo dimostra la High Line, divengono rapidamente catalizzatori di attività sociali, verrebbero generate dinamiche economiche utili a rilanciare il valore degli edifici circostanti, con tutte le ricadute positive e negative che questo comporterebbe. Non c'è alcun dubbio che la High Line sia un'attrattiva spettacolare per New York, e che la sua stessa esistenza di spazio (quasi) pubblico è quasi “miracolosa”. A Roma è necessario oggi investire su questo tipo di spazio per una vera e propria rigenerazione urbana, attivando un processo paesaggistico che consenta ai cittadini di rivivere la città “in quota”, pur sempre mantenendo consapevolezza del luogo.