Fare la fila davanti ad una grande opera d’arte come la Venere del Botticelli, il David di Michelangelo, L’ultima cena di Leonardo, o ancora la Scuola di Atene di Raffaello è del tutto normale. Ma se la fila ha le spalle rivolte verso l’opera stessa qualche perplessità potrebbe nascere. Cosa voglio dire? Da ieri, in Italia, la mania del selfie con sfondo opera d’arte sarà, non più tollerata, ma legale. Non solo, si potranno fotografare liberamente i capolavori senza problemi di diritti d’autore. Non si potrà utilizzare il flash, per non dare luogo a danneggiamenti, ma lo scatto diventa libero.
Leggendo un po’ di qua e di là, commenti pro e contro, l’idea più diffusa è che tale provvedimento possa far diminuire la contemplazione, l’emozione suscitata difronte all’opera a favore del tempo dedicato allo scatto o al selfie. In altre parole, l’esperienza museale come narrazione, agli altri, del sé, della serie “io c’ero” e, maliziosamente, “e voi no”. Siamo consapevoli che l’esperienza mediata, lo scatto e tutti i suoi derivati — la condivisone sui social networks, il controllo dei “mi piace”, la risposta ai commenti, il ritocco delle foto, la preparazione del filmino del viaggio — prenda molto più tempo e magari susciti molto più interesse in tanti, forse troppi, dell’osservazione dell’opera lì davanti a noi. Alla fine, si potrebbe pensare, qual è la differenza tra vedere la Venere di persona o su una rivista, o in una foto? È sempre la stessa, no? Il selfie, invece, mostra che sei arrivato lì, proprio accanto a lei, alla Venere, simbolo indiscusso e senza tempo della bellezza femminile, che sei a Firenze, suscitando tutta una serie di suggestioni negli amici o parenti con i quali si condivide l’immagine. Stare davanti, pensierosi, ad un’opera prevede un minimo di conoscenza e sensibilità, e già questo può sembrare elitario, non certo, senza offesa, per il gruppo di anziani provenienti da qualche sperduto comune italiano, che non possono sfuggire alla visita organizzata agli Uffizi nel periodo di cure termali a Montecatini Terme.
La maggior parte arriva nella stanza della Gioconda, in quella della Venere, o in quella del David di Michelangelo — e lo dico per esperienza personale avendo assistito alla scena varie volte — nemmeno accorgendosi di aver appena saltato capolavori di Leonardo, dello stesso Botticelli o di Raffaello, o anche i meravigliosi Prigioni di Michelangelo, disposti in due file lungo il corridoio che porta di fronte alla magnifica statua michelangiolesca.
Per certi versi, lo storico Steven Conn non ha tutti i torti, seppur con una dose di provocazione, quando si domanda nel suo testo Do museums still need objects?, se sia così necessaria la presenza di così tante opere esposte. Molte le puoi vedere da casa, in un catalogo, in una foto, in un’immagine su Google. Una toccata e fuga, passando tra corridoi di quadri disposti uno accanto all’altro, senza sentire il senso di colpa perché “c’è troppo da vedere”, raggiungendo diretti le più mediatizzate. Certo, i musei si stanno attrezzando per rendere l’esperienza museale più artistica e meno, ci verrebbe da dire, narcisistica: biglietti ad ore, o a lunga scadenza, orari di apertura estesi alla sera, tanto da lasciare spazio a chi quell’opera se la vuole gustare senza bandierine davanti, mamme urlanti con bambini che scappano, allarmi che suonano perché si è avvicinata troppo la mano, coppie che si baciano davanti con cellulare pronti al selfie proprio davanti al tuo quadro preferito.
Tuttavia, mi preme sottolineare un altro punto. Pensare che il selfie faccia aumentare l’ignoranza perché non si assiste rapiti dalla bellezza artistica mi sembra semplicistico e anche un po’ pedante. Chi vuole contemplare lo fa perché è ciò che ama di più, selfie o non selfie. Magari si è portato la sua guida, oppure sul cellulare cerca informazioni di quel quadro, quella statua e se le legge, oppure ascolta la guida professionista o un’audioguida. Selfie o non selfie.
Il selfie non può essere causa di ignoranza artistica. Quello è un problema che riguarda la scuola, la famiglia, i media, l’organizzazione museale e turistica delle città. È un problema complessivamente politico, e non certo imputabile ad un eccesso, seppur fastidioso, di ego incontrollabile.
Non c’è dubbio, può risultare irritante vedersi davanti personaggi che si fotografano con lingua di fuori, facendo il segno delle corna, baciandosi con smodata passione, o magari con selfie di gruppo. Il problema in questo caso è educativo e di rispetto del contesto museale, che è, e deve rimanere, un’esperienza artistica, e non per pochi eletti.
A questo punto, vista l’inevitabilità della situazione, si può proporre uno spazietto laterale per i selfie con su scritto: Fila per selfie.
Che dite?