Bruce Springsteen è tornato a San Siro, e per la nona volta in carriera ha riempito lo stadio. Concerto sold out, quasi tre ore di musica senza pause, la E Street Band in pieno controllo, e lui – a 75 anni – ancora capace di reggere tutto il peso del palco. Ma se in scaletta ci sono sempre gli stessi brani (Born to Run, Dancing in the Dark, Because the Night, Wrecking Ball, The Rising, Badlands, quello che cambia davvero è il contesto. E Springsteen lo sa benissimo.
In questa fase del tour, il Boss non si limita a suonare: ogni sera prende il microfono e parla. E quello che dice non è leggero. “La mia America – ha detto al pubblico milanese – è nelle mani di un governo corrotto e incapace. Stanno zittendo il dissenso, smantellando i diritti civili e usando il potere contro la propria gente”. Il riferimento a Donald Trump è chiaro, anche se non sempre lo nomina esplicitamente. Ma chi segue Springsteen sa che i bersagli sono sempre gli stessi: le leadership repubblicane, le politiche anti-immigrazione, la disuguaglianza.
Lo ha già fatto nel 1984, quando Ronald Reagan provò a usare Born in the U.S.A. come colonna sonora elettorale. Un errore grossolano, visto che la canzone racconta la storia di un reduce del Vietnam che torna a casa e non trova nulla: né lavoro, né riconoscimento, né futuro. E lo ha fatto di nuovo nel 2024, quando ha risposto agli insulti di Trump senza cedere di un passo. “Se siete qui solo per sentire musica e non volete pensare – ha detto in un altro show – allora avete sbagliato concerto”.

Springsteen è così: usa le canzoni per parlare, ma quando serve lo fa anche fuori dal testo. A San Siro ha introdotto My City of Ruins, Land of Hope and Dreams e House of a Thousand Guitars con discorsi politici diretti, parlando della deriva autoritaria in corso negli Stati Uniti, dei tagli alle università, dei migranti detenuti senza processo.
Il finale è arrivato con i pezzi che da anni chiudono i suoi live: Born to Run, Dancing in the Dark, Twist and Shout. Dopo tre ore tirate, la E Street Band resta una macchina rodata e ancora credibile. Springsteen non ha più bisogno di dimostrare nulla, ma continua a farlo.
Accanto al tour, c’è anche una nuova uscita discografica importante: Tracks II. The Lost Albums, un cofanetto di brani mai pubblicati prima, ma non nel senso tradizionale del termine. Non sono solo demo o provini: sono album completi, registrati e poi messi da parte per ragioni di tempismo o direzione artistica. Ci sono dischi country, soul, synth-pop, un lavoro ispirato all’hip-hop della West Coast, e LA Garage Sessions ’83, una raccolta di brani grezzi tra Nebraska e Born in the U.S.A..